2007.02.15
Il 15 Febbraio 2003, milioni e milioni di persone, in tutto il mondo, sono scesi in piazza per manifestare contro tutte le guerre e, in particolare, contro la guerra che gli Stati Uniti stavano preparando contro l’Iraq. Non ho mai amato la folla, le ho sempre evitate, ma nella Manifestazione per la Pace di Roma c’ero anch’io. Eravamo in circa 2 milioni, solo a Roma. Aver vinto la mia paura della folla mi ha ripagato con una centinaia di foto, un forte sentimento di appartenenza a un gruppo che lanciava un Urlo per la Pace, ma soprattutto, ho conosciuto due donne che sono diventate mie amiche, LE MIE AMICHE in Italia, Daniela e Marisa. Con loro ho condiviso dei momenti più belli da quando mi sono trasferito in Italia. Prima di conoscerle mi sentivo orfano di amici. Marisa e Daniela mi hanno introdotto a una sfera affettiva che ha trasformato il grigiore del mio soggiorno in Italia in una dolce avventura a colore. Va bene, non sono i colori vivaci dei tropici, sono piuttosto colori pastelli di acquarelli, ma che mi hanno cambiato la qualità affettiva del mio rapporto con la città di Ancona, con Le Marche e con la gente del paese che mi ospita. Il 15 Febbraio mi ha permesso di vivere ancora una volta un connubio di emozioni un po’ fuori moda, ma che rimane sempre una bomba-arcobaleno per il cuore degli uomini: Pace e Amore.
giovedì, febbraio 22, 2007
Urlo per la Pace
La Biblioteca di Alessandro
2007.02.14
Loreto ha una biblioteca comunale talmente piccolina che non m’invitava ad andare a cercare dei titoli specialistici, in un’area poi poco conosciuta come quella della fototerapia. Visto che avevo esaurito tutte le mie strategie per ritrovare alcuni titoli importanti per la stesura del mio libro, "Il Volto e la Voce del Tempo", decisi di visitare la Biblioteca di Loreto. Certamente non disponeva dei titoli che ricercavo, ma ho incontrato un bibliotecario, un animatore di biblioteca, non so come definirlo: Alessandro, insomma, che si è preso la briga di procurare lui stesso una ventina di titoli che non ero riuscito a trovare da nessuna parte. I titoli che mi premevano di più avere erano “Phototherapy in Mental Health” di David Krauss, e “The Face of Madness” organizzato da Sander Gilman, che erano pure i più difficili da rintracciare. Dopo pochi giorni, Alessandro mi chiama al telefono dicendomi di venire a ritirare i volumi. Uno dei titoli Alessandro ha incontrato in una piccola biblioteca norvegese, che ha spedito il volume gratis perché era la prima volta che veniva richiesto da qualcuno. Il risultato è che ho perso l’abitudine di cercare i libri a destra e a sinistra da quando ho scoperto la mia “Biblioteca di Alessandria”, dietro l’angolo.
Empowerment
2007.02.13
Nella seconda parte del Caffè Pedagogico del 12 febbraio 2007, il professor Roberto Fini, parlando d'empowerment, ha dimostrato come la nostra concezione riguardo la natura della intelligenza incide sulla performance cognitiva, nostra e altrui, indipendentemente del fatto che le nostre opinioni siano giuste o sbagliate. Da questa constatazione deriva l’importanza di conoscere la concezione che i soggetti hanno sulla natura dell’intelligenza, perché queste concezioni funzionano come agente rallentante o stimolante dei processi cognitivi.
Se l’individuo ha un’idea dell’intelligenza come fatto innato e si crede poco intelligente, o, nel caso dell’insegnate, crede che l’allievo sia poco intelligente, penserà che qualsiasi intervento cognitivo o didattico avrà scarso effetto. Paradossalmente, anche l’individuo che avendo una concezione innata dell’intelligenza ma che si crede molto intelligente riterrà anche lui di scarso effetto qualsiasi intervento cognitivo.
Se, al contrario, si crede che l’intelligenza propria e degli altri sia di natura accrescitiva, allora gli interventi cognitivi e didattici saranno percepiti come potenzialmente più efficace.
Queste diverse concezioni devono essere prese in considerazione nel momento della scelta delle strategie didattiche che si vuole mettere in campo.
Per vedere in formato maggiore clicca Qui
Mentre il Professor Fini parlava di empowerment, io pensavo come la sua lezione potesse influenzare la mia condotta da genitore.
mercoledì, febbraio 21, 2007
Reciprocità – 2
2007.02.12
Una volta al mese la Professoressa Ivana Padoan organizza un Caffè Pedagogico all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Per l’incontro di febbraio ha voluto sperimentare a fare uno Spriz Pedagogico. Nella prima parte dell’incontro, si è parlato della creazione di un blog del caffè, che Andrea ha già aperto. Poi si è fatta una valutazione della video conferenza sul tema della reciprocità. A proposito della reciprocità, mi ricordavo di aver sentito un programma a Radio Rai 3 dedicato proprio a tematiche di questo tipo. Ho scritto una letterina a Radio 3 chiedendo informazioni. Mi ha sorpreso la tempestività e la gentilezza della risposta del Signor Marco Motta che ha azzeccato in pieno ciò che cercavo. L’ascolto delle trasmissioni di Radio 3 sull’argomento può arricchire le discussioni del caffè, sia per i contenuti che per la forma come l’argomento è stato trattato.
Riporto il messaggio del gentile Marco Motta di Radio 3 e in seguito la sintesi dei contenuti dei programmi da lui menzionati:
Gentile Aires,
purtroppo anche noi troviamo una certa difficoltà nel rintracciare a quale puntata si riferisce, nel senso che abbiamo dedicato diverse puntate ai temi dell'altruismo della cooperazione e della reciprocità, per esempio le due che può riascoltare cliccando sui link riportati qui sotto.
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=191206
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=166949
L'altra segnalazione che le può forse essere di qualche aiuto è il ciclo La follia dell'utile andata in onda proprio un anno fa a cura di Franco Carlini e la trova qui (http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/lafolliadellutile/). Sperando di esserle stato utile, la saluto e la ringrazio per il suo assiduo ascolto,
cordialmente
Marco Motta
Così impari. Ad essere altruista
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=191206
Il terzo anello radio tre scienza 19/10/2006
"È per il tuo bene": ce lo dicevano da piccoli prima del castigo. Oggi alcuni antropologi precisano: è per il bene dell'intera società. La punizione dei comportamenti egoistici, infatti, favorirebbe la coesione sociale. E così nella nostra storia evolutiva si sarebbe fatto strada l'altruismo. Dagli studenti della Emory university agli indigeni della Nuova Guinea, come si indaga la natura dell'altruismo?
Ne parla Franco Carlini, con Luigino Bruni, economista dell'università di Milano Bicocca, e Adriano Favole, antropologo culturale dell'università di Torino.
E ancora, a Radio3 Scienza, si fa presto a dire maschio. Pietro Parma, dell'Istituto di genetica medica dell'università di Pavia, ci racconta perché un embrione, a parità di Dna, nasce Caterina oppure Luciano.
E infine Lucio Martino, analista per il Cemiss (Centro militare studi strategici) sulla politica estera Usa, ci spiega cosa c'è dietro la decisione di Bush di chiudere lo spazio ai paesi nemici
Luigino Bruni libro: reciprocità
Ultimatum Game
Dictator Game
Punitore altruista
Senso della giustizia e predisposizione genetica
Ruolo della cultura nel modellare le condotte
Punizione: emarginazione dal gruppo
Cooperazione tra diversi
Luigino Bruni autore del libro: Reciprocità
Buoni si nasce
Il terzo anello radio tre scienza
10/03/2006
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=166949
L'uomo è generoso di natura, almeno in tenera età. Ma non si tratta di una peculiarità tutta sua. Di fronte a un compagno bisognoso d'aiuto, infatti, uomini e scimpanzé reagiscono allo stesso modo. Ma da dove viene questo altruismo innato? Quale è il valore adattativo della bontà? E, ancora a Radio3 scienza, ecco a voi gli atleti paralimpici.
Con Pietro Greco e i suoi ospiti. Gli ascoltatori possono scrivere all'indirizzo radio3scienza@rai.it.
Tra gli ospiti e gli intervistati di oggi:
Luigi Anolli, docente di psicologia della cultura e della comunicazione all'università di Milano Bicocca,
Marco Bernardi, responsabile sanitario del Comitato paralimpico,
Franco Carlini, giornalista e conduttore di Radio3scienza,
Augusto Vitale, etologo dell'Istituto superiore di sanità.
Altruismo e predisposizione genetica
Propensione dell’uomo all’altruismo
Filogenetica evolutiva
Ultrasocialità
Altruismo e l’evoluzione umana
Epigenetica interdipendenza della genetica e dell’ambiente
Altruismo come lubrificante della vita sociale
Mente multiculturale – sfida del 21 secolo
Il Terzo Anello:
LA FOLLIA DELL'UTILE
9 gennaio 2005 a venerdì 3 febbraio
http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/lafolliadellutile/
LA FOLLIA DELL'UTILE
'Eppur si dona'
di Franco Carlini e Patrizia Feletig
condotto da Franco Carlini
a cura di Cettina Flaccavento
regia di Diego Marras
Da lunedì 9 gennaio 2005 a venerdì 3 febbraio andrà in onda su RadioTre alle ore 18,00 "La follia dell'utile" un ciclo dedicato al dono e all'altruismo. Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì.
Nella società moderna dominata e consacrata all' "idolo" dell'utile, è convinzione comune che il dono sia raro e la gratuità impossibile. Soprattutto si ritiene che i comportamenti altruistici siano irragionevoli perché è inverosimile donare senza rimetterci. Sono antitetici alla logica di un ritorno dell'investimento.
Nelle 20 puntate, attraverso le conversazioni con studiosi di varie discipline, il dono viene narrato attraverso le molte lenti di storia, economia, sociologia, filosofia, antropologia e persino del buon senso empirico che scaturisce dalla vita quotidiana. Un percorso che condurrà l'ascoltatore in epoche e luoghi diversi, spaziando tra culture e specie.
Al di là della socialità primaria dove gli si riconosce legittimità, il dono come omaggio all'oscuro dio dell'inutile e del dispendio è generalmente rifiutato e contrastato dall'ideologia dominante, semmai relegato nella sfera artistica e soprattutto religiosa. Al più, sotto la veste caritatevole, il dono, diventa compensazione agli eccessi del mercantilismo.
Addentrandosi nella topografia dell'altruismo e della filantropia, si scoprirà invece che il dono non è trascendente o irrazionale ma è esattamente l'altra faccia - la più significativa - della società umana, di importanza almeno pari alle motivazioni utilitaristiche. Pur rimanendo la parte più incantata e fantasiosa della vita sociale ed economica moderna, anche il dono segue una logica. Pur essendo libero da regole, il comportamento oblativo si conforma a rituali e codici magari non esplicitati ma sempre condivisi.
E così l'assunto di partenza dell'homo oeconomicus che prende, calcola e capitalizza in contrapposizione all'homo largitor che offre senza rifletterci si capovolge. Il comportamento altruista non rappresenta più una devianza rispetto alla pulsione primaria e irriducibile dell'egoismo. Piuttosto è il calcolo esclusivo del proprio tornaconto che si rivela un errore, una distorsione, rispetto alla naturale indole umana di aiutare, condividere, collaborare e cooperare.
Puntata 1
09/01/2006
Eppur si dona
Un trailer che, attraverso stralci delle interviste e letture di brani, propone il ragionamento che governa l'intero ciclo: l'altruismo è davvero, come appare, un'insondabile e irragionevole eccezione all'ineccepibile logica utilitaristica?
LE MUSICHE
Enzo Grangnaniello Pamunt Roma Group Alberi
CNI Cndl 12167
Michael Nyman Michael Nyman Band Final Score Part 1
Newtone NT 6714
Goran Bregovic Goran Bregovic Pousuite
Mercury 546 204 2
Rene' Aubry Rene Augry Dolce Vita
Hopi Mesa 3094762
Patrizio Fariselli Patrizio Fariselli Danza ad anello
Edel 0161252
Clara Graziano Circo Diatonico Marcia di carovana
Finisterre FT014
Utilitarismo – tarlo della nostra società - follia dell’utilitarismo e le ragioni dell’altruismo
Interdisciplinarietà - filosofia, scienze politiche, antropologia, psicologia sociale, sociologia, economia, teoria dei giochi matematici, etologia – le tematiche del dono – circolo virtuoso – donare – ricevere – restituire – Adam Smith – critica della ragione utilitaristica – doni simbolici – Bataille il limite dell’utile – il mistero del dono – economie basate sul dono e la reciprocità – dalla follia dell’utile al mistero del dono – collaborazione, condivisione, cooperazione, solidarietà, dono – valore d’uso e valore di scambio - valore di legame -
martedì, febbraio 20, 2007
Il Bastone e la Pioggia
2007.02.11
Il Professor Mario Paolini ci ha proposto nel suo seminario una interessantissima esperienza attraverso la quale illustrava le forme e le modalità del suo agire musicoterapeutico. Dalla preparazione del setting alla ricerca di strategie per l’instaurazione di comunicazione con persone speciali, passando per la costruzione e riparazione degli strumenti che possono essere utilizzati negli interventi di musicoterapia, bastone della pioggia compreso. A un certo punto della lezione ci ha invitato a riflettere sull’enorme potere che una maestra o un insegnate ha e come questo potere si traduce nel senso di contribuire o meno alla crescita, all’autonomia e al benessere dei bambini. Arrivando a casa ho incontrato mia figlia che doveva portare a scuola uno strumento musicale da lei costruito. Frugando nella busta di riciclaggio abbiamo trovato delle bottiglie che quando riempite d’acqua in quantità diverse producono differenti note. A Marina è piaciuta l’idea. Si è presa delle bottiglie e le ha portate a scuola. Quando è rientrata era molto giù di morale perché la maestra aveva rifiutato il suo strumento che produceva un suono “spiacevole”. Ho avuto l’impulso di andare a chiedere spiegazioni alla maestra di musica, ma dopo ci ho ripensato e insieme a Gi e Marina abbiamo fatto una ricerca su internet su strumenti musicali costruiti con materiale di recupero. Abbiamo trovato un progetto molto interessante di Giacomo Battara e Paolo Pasini svolto a Ferrara nel 2004. Si è deciso di fare il bastone della pioggia, strumento indigena dell’America Centro Meridionale, con un tubo di cartone e chiodi che nonno Romolo ci ha procurato. Le lenticchie, per mettere dentro il tubo, ci ha dato nonna Luisa e la nipotina ha decorato il bastone con colori bellissimi. Marina è tornata a casa radiante raccontando che la maestra ha fatto vedere il bastone a tutte le altre maestre dicendo che quello era il più bello tra gli strumenti portati. La mancanza di tatto della maestra di musica ci ha spinto a raggruppare la famiglia per aiutare una bambina di otto anni a svolgere un'attività scolastica. E pensare che Marina non voleva più andare alla lezione di Musica…
Dalla Stalla alle Stelle: Andata e Ritorno
2007.02.10
Il Professor Paolo Troncon, direttore del Conservatorio di Vicenza e compositore, nella sua lezione di oggi ci ha guidato lungo un percorso che partiva dalla sensazione uditiva per arrivare al pensiero musicale. Nell’esplicitare ed analizzare le strategie mentali sottostante alla nostra produzione sonora, ha dimostrato che siamo dei compositori, indipendentemente dalla nostra formazione musicale. Si può immaginare la soddisfazione di chi si è sempre creduto negato per la musica nel sentire una sua improvvisazione alla tastiera essere scandagliata fino a scoprire l’architettura nascosta nella sua composizione. Attenzione, Stockhausen, che adesso soniamo noi!
In un’altra lezione però, il Professor Lino Vianello, ci ha proposto un banalissimo gioco composto da quattro cerchi da cui dovevamo ricavare il numero 5. Abbiamo impiegato oltre 1 ora per arrivare alla soluzione. Dopodiché siamo stati portati nella stanza di sopra per vedere il video di un ragazzino, con serie difficoltà di apprendimento, a cui è stato proposto il medesimo gioco. La proiezione è durata 5 minuti. E noi li chiamiamo deficienti…
lunedì, febbraio 19, 2007
La Musica non Esiste
2007.02.09
“Per me la musica è la vita. Io penso musicalmente.” Così ha esordito il Professor Lino Vianello nella lezione di oggi al Centro Studi di Musicoterapia e Linguaggi non Verbali a Campalto, Venezia. Questa frase mi ha fatto pensare a Mario de Andrade, una delle figure più rappresentative dello scenario culturale brasiliano del 900. Mario de Andrade è lo scrittore più simpatico di cui abbia mai sentito parlare. Non ostante lui pensasse che “Não devemos servir de exemplo a ninguém. Mas podemos servir de lição.”, ho trovato in lui, “paulistano” come me, un modello di vita a me congeniale. Penso di aver letto quasi tutto che ha scritto e avrei voglia di rileggere tante cose sue, se avessi la mia biblioteca qui in Italia. Mi trovo molto in Mario de Andrade. Era amante della musica, si è innamorato di Natal e voleva andare a viverci, si divertiva con la sua macchina fotografica, era brutto ma sorridente, proprio come me e anche lui ha avuto la vita segnata dalla perdita di un fratello. L’unica differenza è che Mario di Andrade a la mia età aveva rivoluzionato la cultura brasiliana del suo tempo e io non ho ancora messo a posto la cucina di casa. Mario di Andrade ha descritto il mio carattere, ancora prima che io fossi nato, nel romanzo-fiaba-indigena “Macunaíma – l’eroi senza carattere” che ha ispirato il film omonimo di Joaquim Pedro de Andrade. Mario de Andrade si è formato al Conservatorio Musicale di São Paulo di cui è stato direttore, ma a un certo momento ha deciso di dedicare la sua vita ad altro che la musica perché “ha scoperto che la musica non esiste, ciò che esiste è l’arte”. Così si è tuffato nella letteratura e nelle arti figurative e ha contribuito a introdurre “carnevalescamente” il modernismo nel Brasile parnassiano. Più tarde avrebbe capito che ciò che lo affascinava non era l’arte, ma la vita. Allora si è dedicato al folclore, all’”antropologia fantastica”, alla fotografia e ha influenzato intellettuali del calibro di Câmara Cascudo. Ma, prima di morire, si è reso conto che la vita non è altro che… MUSICA!
Mutuo Aiuto
2007.02.08
La Professoressa Assunta mi ha invitato a conoscere le attività di un gruppo di auto-mutuo-aiuto per vedere se può venire fuori qualche idea di dialogo con la fotografia terapeutica. Sentire la voce della professoressa Assunta mi riempie di una gioia infantile, come ascoltare il canto di un uccellino birichino. La Professoressa è una di quelle persone che riescono a combinare con naturalezza la serietà con il senso di umorismo. Il suo humour non si manifesta attraverso le battute ma attraverso lo sguardo e il sorriso che a volte diventa risata e che dice più delle parole. Non vedo l’ora di incontrare le persone del gruppo di auto-mutuo-aiuto che già prima di conoscerli voglio bene e di rivedere la Professoressa Assunta che per me è un vero privilegio.
Embracing skeletron
Avevo chiesto a mio zio Hercilio Ferrari se sapeva i nomi e i cognomi dei suoi antenati italiani. Zio Hercilio mi ha informato che suo padre si chiamava José Ferrari e sua madre Virginia Viapiana e sono nati in Brasile ma i loro genitori sono originari da Vicenza e Mantova rispettivamente. Oggi è stata divulgata la scoperta di una coppia del neolitico che è stata sepolta romanticamente abbracciata proprio a Mantova. Ho scoperto così gli antenati di Zio Hercilio e Zia Olga e di tutti noi: l’amore.
domenica, febbraio 18, 2007
L’Educatore – Animatore
2007.02.06
Il direttore di una casa di riposo dove ho lavorato mi ha richiamato perché ha ricevuto dalla Regione una direttiva che esige dall’istituzione la presenza della figura dell’ educatore-animatore. “Ayres, tu sei un educatore-animatore?”. Sapevo che in alcune regioni, come in Campania, si è deciso di equiparare queste due figure. Mi sono rivolto all’ufficio formazione della Regione Marche per cercare una risposta. Il Dottor Nino Santarelli ha girato la mia domanda al Dottor Giuseppe Forti che, molto gentilmente mi ha spiegato che:
“L'allegato "B" al regolamento regionale, che forse Lei ha potuto consultare, prevede tra i requisiti di accesso per svolgere la funzione educativa anche....
- Laurea in discipline sociali o umanistiche (scienze della formazione e dell’educazione, psicologia, scienze sociali) del vecchio ordinamento universitario.
- Qualifica professionale conseguita dopo corsi post-diploma riconosciuti dallo Stato o dalle Regioni.
La Regione è in procinto di definire analiticamente i corsi di laurea ricompresi nella dizione "discipline sociali o umanistiche": credo che la laurea in lettere ci rientri.
In seconda istanza bisognerebbe verificare se la qualifica di animatore da Lei conseguita è inserita nel Tabulato regionale delle qualifiche (durata del corso 400 ore).
Potrei verificare la cosa avendo indicazioni più dettagliate sul corso.”
L’animazione e l’educazione sono due pratiche diverse anche se limitrofe. L’animazione e l’educazione hanno in comune il fatto che entrambi sono delle PROFESSIONI che operano nel sociale con lo scopo di attuare il potenziale e incrementare le possibilità dei soggetti, individuale e aggregati, di raggiungere il benessere. Animatori e Educatori si differenziano per gli strumenti che adoperano e per l’enfasi che ognuno da agli obbiettivi specifici all’intero della relazione di aiuto. L’animatore utilizza nella sua prassi strumenti ludici e di attivazione culturale e relazionale che fanno riferimento alla comunicazione e ai linguaggi non verbali, al linguaggio artistico, alla psicologia sociale e di comunità e alle terapie espressive. Secondo me l’animatore è soprattutto un “costruttore di ponti” tra gli individui all’interno di un gruppo e tra i gruppi all’interno di una comunità. L’azione dell’animatore enfatizza gli aspetti di ricreazione, sensibilizzazione e di aggregazione utilizzando tecniche ludiche ed espressive che provengono dal teatro, dalla pittura, dalla musica, pittura, fotografia e dalla tradizione. L’educatore agisce più nella direzione dell’integrazione sociale e culturale. Perciò, anche la formazione dei due professionisti non coincide. Ho l’impressione che l’animazione professionale, come pensata da pionieri come Guido Contessa, cambierà nome o sarà assorbita dall’educazione. Una carissima amica, Barbara, parlando dei miei interventi nelle case di riposo e del libro che ho pubblicato ha osservato che non poteva chiamare animazione il mio lavoro perché sarebbe avvilente. Non c’è niente da fare: Give a “job” a bad name and hang it!
Cantare in Volo
2007.02.05
“Mai dire da quest’acqua io non berrò”, ammoniva sempre Marilva, mia madre. “Perché quando lo dici, la vita ti porta spesso a dover placcare la sete bevendo l’acqua proprio da quella fontana o da quella pozzanghera e la berrai tanta e la troverai pure buona”.
Per saggezza o per scaramanzia io non dico più “da quest’acqua non berrò” e provo a non pensarci nemmeno, perché mi è capitato più di una volta di dover rimangiare le mie parole o di dover ribere i miei pensieri.
Allevare uccellini in gabbia, per esempio, esiste qualcosa di più crudele o di più sadica? “Ecco una cosa che non farò mai!”, dicevo a me stesso. Finché un giorno uno dei muratori che costruiva la nostra casa a Ponta Negra, Júlio, detto Nêgo de Cabaço, arriva da me con una sabiá in gabbia. Senza dire parola, mette un chiodone nella parete della veranda, appende la gabbia e poi sistemando due sedie alcuni metri distante, mi fa segno di stare in silenzio e di aspettare. Dopo alcuni minuti il canto della sabiá esplode, echeggia dentro casa e letteralmente riempie tutto lo spazio circostante con una serie di canti variegati che sembravano durare una eternità. Notando la mia espressione di sorpresa e di meraviglia, mi avverte: “Vedrai l’effetto che fa la mattina presto il primo canto del giorno”. Infatti, il canto di una “sabiá che canta” vicino a te nel silenzio dell’alba è una “musica” che soltanto un Dio-Indio potrebbe concepire. Quella sabiá è stata la prima di un allevamento di uccelli in gabbia che ho avuto per anni.
Rimane sempre il fatto che tenere uccelli in gabbia è una crudeltà tremenda, come lo sono il matrimonio e l’imposizione della fedeltà, la scuola e la fabbrica, come andare in macchina e inquinare il pianeta, come tagliare un albero o mangiare carne. La crudeltà in tutte le sue forme deve essere messa in discussione. Sarebbe auspicabile che ognuno si impegnasse a dare il suo contributo alla ricerca del superamento o quantomeno di una mediazione tra le cose così come stano e le cose come potrebbero o dovrebbero stare e che non si limitasse a liquidare tutte le questioni con un semplice giudizio di condanna. “Accendere una candela invece di maledire l’oscurità”, consigliava Lao Tzu.
Allevare degli uccelli in gabbia ha significato per me dover alzarmi presto la mattina per cambiare le vaschette d’acqua, i contenitori di semi, la frutta, e la sabbia che sta alla base della gabbia. Dovevo osservare se ogni uccellino stava bene, se aveva mangiato, capire le loro preferenze alimentare, stare attento ai sintomi delle malattie. In quel periodo il giardino di casa era pieno sempre pieno di volatili perché il canto degli uccelli in gabbia attrae altri della stessa specie. Le loro jam sections, fatte da dispute e corteggiamenti producono delle melodie emozionante che i musicisti umani possono soltanto sfiorare.
Durante uno dei viaggi in treno per Venezia ho iniziato a scrivere, sul verso di una dispensa di musicoterapia, le storie dei miei rapporti con quelle bestiole: il loro arrivo, il soggiorno e alla fine la loro liberazione. Era un’allegria sofferta tenere gli uccelli in gabbia, c’era un’identificazione da parte mia verso di loro. Mi sentivo in gabbia anch’io. È stata una sofferenza allegra liberarli. Ammiro gli uccelli in libertà ma non mi identifico con loro. Sono uno strano uccello che vive costruendo delle gabbie in torno a sé: casa, macchina, treno, scuola, lavoro. Non ho avuto il coraggio di volare. Non ancora.
Rientrato alla mia dolce gabbia blu, a Loreto, ho intrapreso un viaggio nella foresta della Rete cercando i siti che mi facessero sentire i canti degli uccelli brasiliani. C’e ne sono alcuni meravigliosi. Se andate su ( http://www.eln.gov.br/Pass500/BIRDS/1eye.htm ) 500 Pássaros do Brasil e cliccate su busca potete vedere e sentire tanti uccelli che sono organizzati in ordine alfabetico. Potete anche giocare ad indovinare a quale uccello appartiene il canto. Un altro bellissimo sito è http://www.opescador.psc.br/cantosdasavesdobrasil2.htm Cantos das Aves do Brasil.
Soltanto oggi, dopo vent’anni, ho capito meglio i significati dell’affermazione di Nêgo di Cabaço quando mi ha regalato la sabiá. “Questa sabiá è come te: poliglotta”. Ho sempre preso quella frase come una battuta. Invece oggi, mentre cercavo su internet una registrazione del canto di quell’uccellino che ho avuto acanto per anni, ho imparato da Jacques Vielliard che “poliglotta” è effettivamente una specie rara di sabiá che riesce a memorizzare i canti di diversi uccelli e di riprodurli tutti in fila. Ma che al contrario di altri uccelli imitatori, non ha un canto proprio. Adesso capisco la reazione di Nêgo di Cabaço alcuni anni più tardi quando ha saputo che io l’avevo liberata. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò in un altro blog.
Per agevolare il godimento di una piccola parte del materiale audio visivo contenuta nei siti menzionati, ho preparato queste brevi presentazioni di uccelli che ho avuto, visto o sentito in Brasile. Ironicamente non sono riuscito a trovare un’immagine della sabiá poliglotta, ne su internet ne tra le mie foto, ma soltanto il canto di un esemplare.
Sabiá-laranjeira
Sabiá da Mata
Sabiá-poca
Pica Pau de Topete Vermelho
Graúna ou Pássaro Preto
Seringueiro ou Fri-frió
Sabiá da Praia
Sabiá do Campo
Curió
Bem-te-vi
Araponga-de-barbelas
Olho de Fogo
Sabiá Poliglotta
mercoledì, febbraio 07, 2007
Ci si Lascia il Cuore
2007.02.04
Siamo andati in piscina insieme, Gi, io e Marina, dopo un sacco di tempo. Ho approfittato e ho fatto anche un po’ di sauna. Ahh che buono. All’uscita ho scambiato qualche parola con Paolo Pirchio, un amico italiano che è stato mio ospite in Brasile. “Da quanto tempo non vai in Brasile?”, mi domandò. “Da tanto.” Risposi. “Ah, Natal, ci si lascia il cuore!”, ha sospirato. “A chi lo dici!?!!” risposi.
L’Infinito
2007.02.03
Stasera siamo andati a cena con Nazzareno e Carla dalla Trattoria Donzelletta in mezzo alla campagna di Recanati. Il ristorante prende il nome da un verso dell’illustre poeta recanatese Giacomo Leopardi, del canto Sabato del Villaggio.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Dopo cena, dopo il vino e la grappa, ho riletto uno dei miei poemi preferiti, “L’Infinito”, uno dei poemi più tradotto nel mondo. Mi sono ricordato della “trascriazione” di Haroldo de Campos, che è stato nostro ospite allo Spazio Culturale Babilonia di Natal, il 15 settembre 1992, una serata indimenticabile. Haroldo è arrivato a casa per le mani di Francisco Ivan. È arrivato con Jota Medeiros, João da Rua, Afonso Martins e Abimael Silva. Stelle di prima grandezza. Pure Vinicius de Moraes ha tradotto L’Infinito e che traduzione!
Considero “L’Infinito” di Leopardi un “anticipazione” del training autogeno. Hai mai provato il Training Autogeno? Quale traduzione preferisci? Fammi sapere.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
Trascriazione di Haroldo de Campos
A mim sempre foi cara esta colina
deserta e a sebe que de tantos lados
exclui o olhar do último horizonte.
Mas sentado e mirando, intermináveis
espaços longe dela e sobre-humanos
silêncios, e quietude a mais profunda,
eu no pensar me finjo; onde por pouco
não se apavora o coração. E o vento
ouço nas plantas como rufla, e àquele
infinito silêncio a esta voz
vou comparando: e me recordo o eterno
e as mortas estações, e esta presente
e, viva, e o seu rumor. É assim que nesta
imensidade afogo o pensamento:
e o meu naufrágio é doce neste mar.
Traduzione di Vinicius de Moraes
Sempre cara me foi esta colina
Erma, e esta sebe, que de tanta parte
Do último horizonte, o olhar exclui.
Mas sentado a mirar, intermináveis
Espaços além dela, e sobre-humanos
Silêncios, e uma calma profundíssima
Eu crio em pensamentos, onde por pouco
Não treme o coração. E como o vento
Ouço fremir entre essas folhas, eu
O infinito silêncio àquela voz
Vou comparando, e vêm-me a eternidade
E as mortas estações, e esta, presente
E viva, e o seu ruído. Em meio a essa
Imensidão meu pensamento imerge
E é doce o naufragar-me nesse mar.
Le Nostre Ombre
2007.02.02
Siamo stati al parco questo pomeriggio. In un dato momento, Marina si gira e dice: “Fa una foto alle nostre ombre.”
Mi Auguro Tempo
2007.02.01
Avevo promesso a Luna che sarei andato all’incontro con Mariano Loiacono, creatore del “Metodo alla Salute”, al CRAS di Ancona. Purtroppo non ce l’ho fatta.. Luna è per me una persona molto cara. Abbiamo fatto insieme il primo percorso di fototerapia ad Ancona che è stato molto importante per entrambi. D’allora siamo rimasti uniti da un legame di amicizia fraterna-paterna-filiale-materna-amorosa-fotografica-musicale sui generis. Incontrare Luna per me è come guardare la luna: è sempre una esperienza nuova, piena, sia quando è crescente che quando è calante. Per consolarmi per l’incontro mancato mi sono messo a leggere la pubblicazione dell’Associazione alla Salute di Foggia, LIMAX, che Luna mi aveva regalata l’ultima volta che ci siamo incontrati, nel primo seminario di Mariano e Barbara Loiacono ad Ancona. È stato un regalone che Luna mi ha fatto, presentarmi a Barbara e Mariano. Sono due persone che trasmettono la semplicità illuminata dei profeti e dei visionari contadini. Mi sono sentito un privilegiato. Grande Luna! Nell’editoriale di LIMAX di settembre 2006 Barbara Loiacono riporta una poesia indiana che dice così:
“Ti auguro tempo.
Non ti auguro un dono qualsiasi, ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo per divertirti e per ridere.
Ti auguro tempo non per affrettarti e correre, ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perché te ne resti: tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle, tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.”
Mi auguro tempo per incontrare miei amici ed abbracciarli con tutta la forza della verità.
RigenerArte
2007.01.30
Sono stato invitato a partecipare ad una mostra di arteterapia che si svolgerà all’interno di un convegno di psicologia del titolo RigenerArte. Parlando con l’organizzatrice dell’evento, Patrizia Vetuli (vice presidente dell’Ordine degli Psicologi delle Marche), ci siamo chiesti se è l’arte, in quanto fruizione estetica o come qualcosa legata al bello, che rigenera. Credo che l’enfasi deve essere messa nella comunicazione e nell’espressione come tale piuttosto che nel risultato formale che esse possano avere. Non sarà un caso che il Master dell’Università di Torino che si occupa di arteterapia, musicoterapia e drammaterapia abbia scelto la definizione di Terapie Espressive e che il Master dell’Università Ca’ Foscari di Venezia che tratta gli stessi argomenti abbia optato per definirsi come un percorso formativo di Comunicazione e Linguaggi Non Verbali: Musicoterapia, Psicomotricità e Performance. La parola Arte se pure seducente, è fuorviante in campo terapeutico e educativo. Per quanto riguardano i progetti di “fototerapia” che ho condotto è stato fondamentale superare l’idea di dover produrre delle belle fotografie e spostare l’attenzione dall’aspetto formale delle immagini agli aspetti ludici, relazionali e comunicativi dell’agire fotografico. Per veicolare questo messaggio potrò far leva sul talento ed sull’esperienza dello psicologo e carissimo amico Enrico Smerzini. Avremo l’occasione di riflettere sugli interventi di “fototerapia” con gli adolescenti e bambini, con persone con disaggio psichico che vivono in comunità, e quelle che sono seguite nei centri di salute mentale, con anziani istituzionalizzati e con coloro che vivono in famiglia, con studenti post universitari (in corso) e mi piacerebbe molto includere le persone in carcere e i cechi con cui intendo condividere dei percorsi fotografici e che penso possano contribuire a svelare inaspettate potenzialità della comunicazione fotografica.
lunedì, febbraio 05, 2007
Notizie dal Brasile
2007.01.29
Marcos Marques, mio cugino che non vedo da più di 35 anni, mi ha scritto una lettera incredibile che mescola notizie dal Brasile di Lula, riflessioni filosofiche, citazioni letterarie, sogni e etmologia. Parla dei suoi viaggi nel “Sertão” di Goiás (acaba não mundão). Mi ha fatto venire la voglia di rileggere Guimarães Rosa, “Grande Sertão: Veredas”, “Sagarana”.Ecco il racconto "Il Duello" in italiano. Quando ritornerò in Brasile, voglio tufarmi nel Sertão che non finisce no, mondo grande. Marcos, aquele abraço, cugino amico. Mi manda una foto.
Psicodramma, Moreno e la Prepotenza Adolescenziale
28.01.2007
La domenica pomeriggio degli incontri del Master produce nella mia testa un rumore come quando si mettono dei ghiacci nel frullatore. Tutti gli stimoli, le parole, le risate, i gesti si mettono ad urlare nel mio cervello esausto. Oggi, in mezzo a questa confusione interiore, ho riascoltato la domanda del Professor Ezio Donato: “Avevate mai sentito parlare di psicodramma e di Moreno prima di leggere la dispensa che vi ho dato?” Questa domanda mi ha portato lontano nel tempo e nello spazio. 1978, San Paolo del Brasile quando ho conosciuto Fernando Uzeda, che sarebbe poi diventato un mio carissimo amico e una delle persone chiavi, nel bene e nel male, per la mia formazione. È stato lui ad aspettarmi all’aeroporto di Heathrow nel mio primo viaggio-trasloco all’estero. Con lui ho conosciuto la Parigi che i turisti non vedono. Da lui ho ricevuto l’abbraccio solidale al mio rientro in Brasile dovuto a una tragica perdita familiare. Con lui sono andato ad abitare quando ho lasciato la casa dei miei genitori. Ed è stato a casa dei suoi genitori, Pedro e Vera, lui psichiatra e lei psicologa dove ho sentito parlare di psicodramma e di Moreno per la prima volta. Suo padre, Pedro Moreira Uzeda è stato uno dei principali divulgatore dello psicodramma in Brasile. Ricordo con molta ammirazione quella coppia. Dottor Pedro, una persona brillante, la Signora Vera, una donna elegante, di una bellezza e di una sensualità difficilmente paragonabile. Non so perché pensavo che Moreno fosse argentino e che lo psicodramma fosse un fenomeno di moda dei ricchi spensierati brasiliani, e così non mi sono mai interessato a sapere di più su questa disciplina. Il Brasile è oggi il paese con maggior numero di psicodrammatisti e dove lo psicodramma viene più ampiamente praticato. Dopo trent’anni, ho scoperto che Jacob Levy Moreno non era Argentino, ma che in fondo non aveva nessun’altra nazionalità definita. È nato su una nave senza bandiera, da padre ebreo spagnolo e madre slava, ha preso la cittadinanza rumena, è vissuto e studiato a Viena e trascorso gran parte della sua vita negli Stati Uniti. A questo punto potrebbe anche essere argentino. Ho scoperto anche che lo psicodramma non è una moda dei ricchi brasiliani. E mentre il traghetto mi portava dalla Giudecca a Venezia, mi facevano compagnia i ricordi degli Uzeda, dell’amico-artista Fernando, e mi faceva ridere la mia prepotente ignoranza adolescenziale che forse trascino con me fino ad oggi.
domenica, febbraio 04, 2007
Onde e Dune
2007.01.27
Ognuno di noi doveva portare un oggetto che suscitasse emozione e che avesse un significato personale. Ho portato un cappello che avevo confezionato in Brasile utilizzando una foglia di palma da cocco del albero che stava nel giardino di casa mia sulla spiaggia di Ponta Negra a Natal. Ne avevo fatto tre. Uno ho regalato all’Ambasciatore del Brasile a Roma, Paolo Tarso Flecha de Lima, come ringraziamento per aver ospitato la mostra “Natal a Roma”che avevo allestito all’Ambasciata Brasiliana in Italia nel 1999. L’altro cappello ho offerto al prete – imprenditore Don Lamberto Pigini che mi ha preso per lavorare come operaio nella sua industria grafica Tecnostampa nel 2000. L’ultimo cappello è quello che ho portato al seminario di psicodramma oggi. “Che cosa vorresti vedere?”, mi domandò Ezio Donato, come psicodrammatista. “Non senti la mancanza del Brasile, la SAUDADE?” Allora chiesi di vedere ciò che vedevo dal giardino di casa mia: la Duna Calva, (Morro do Careca) e il mare di Ponta Negra. Per ricreare il paesaggio invitai Antonella Moscardini, la collega del Master con chi più mi identifico, per rappresentare la Duna Calva e “l’Epifania Smeralda”, la “Morellino di Scansano” e la Gabellone; tre fra le più belle colleghe del master per simbolizzare le onde soavi della baia, e io in mezzo. “Che vuoi che facciano le onde, che ti accarezzino?” suggerì il siciliano direttore. E così mi ritrovai davanti la Duna , in mezzo alle onde-donne, alla Giudecca, di fronte a Venezia. Chiusi gli occhi e naufragai nel dolce mare di carezze. Ciò che vissi e sentii è più o meno questo.
venerdì, febbraio 02, 2007
Angelo Smarrito
2007.01.26
Arrivare a Venezia è per me un momento indefinito. Quando si arriva a Venezia? Quando si vede soltanto acqua dai finestrini del treno? Quando si scende le scale della Stazione Santa Lucia? Quando si attraversa il Ponte degli Scalzi? Quando si affaccia al Canale Grande? Quando si entra nella Piazza San Marco? Quando salgo sul treno che va a Venezia? Oggi per me, arrivare a Venezia è stato prendere il battello per la GIUDECCA! Non ricordavo il nome della pensione dove sarei ospite, ne l’indirizzo di dove avrebbe luogo il seminario di psicodramma. Sapevo soltanto che dovevo andare alla GIUDECCA. Mentre cercavo il battello che dovevo prendere un angelo smarrito mi ha toccato le spalle. Era Noodle, mio amico del Master. Ho soltanto goduto il paesaggio e scattato qualche foto per divertimento e mi sono lasciato trasportare dall’angelo smarrito Noodle, Lucca Scantamburlo. L’introduzione allo psicodramma fatta dal professor Ezio Donato è stata stimolante, la cena con Antonella ,Silvia e Carla dalla trattoria Il Cacciatore è stata superba e la preparazione dei “brigadeiros”, alle due di notte nella cucina del convento del Santissimo Redentore dove eravamo ospiti è stata surreale. Ecco la ricetta dei “brigadeiros”:
Ingredienti:
1 lattina di latte concentrato zuccherato = 400 g
2 cucchiai di burro
3 cucchiai di cioccolato amaro in polvere
mezza tazza da tè di cioccolato granulato.
Procedimento:
Versare in una casseruola ad un manico tutti gli ingredienti eccetto il cioccolato granulato.
Portare al fuoco, mescolando sempre l’impasto, finche l’impasto non si stacchi dal fondo quando si inclina la casseruola.
Versare l’impasto in un recipiente previamente imburrato e lasciare raffreddare.
Fare delle palline e girarle sul cioccolato granulato
Sistemarle in formine di carta e servire
giovedì, gennaio 25, 2007
Venti del Nord e Ricordi del “Nordeste”
2007.01.25
Ecco la storia dietro una foto, raccontata da Dauro:
Your blog is a box full of surprises! It´s the first time I see the picture. From left to right: Camilla, me and Kjersti. Natal, Brazil, 1994. I´d rather start from the very beginning: when I was ten y/o, a Norwegian backpacker was a guest in our neighbors. We made acquaintance and I said to myself: one day I´ll go to Norway. A few years later (I was 15), while studying English at Cultura Inglesa (by the way, where I met you), I decided to practise my written skills in a penpal system where we put our data in a computer and it gave us a few names of people. Then...
... I started exchanging letters with Kjersti, a Norwegian girl of 13 y/o. We´ve been penfriends for more than 20 years. In 94 we finally met in a trip to Bolivia and Brazil. In Natal, you and Gigliola honoured us with your hospitality at Babilonia. Three years later, in 1997, my wife Laura and I spent 3 months backpacking in Europe. And finally my dream of visiting Norway was reality. We´ve been invited to Kjersti´s wedding celebration with Erik in a town close to Oslo. It was an intimate party, and we were the only guests from outside the family circle. We had a wonderful time up there. This is, in short, the story of a beautiful friedship
mercoledì, gennaio 24, 2007
Striscia di Amici
2007.01.24
Non è stato per niente facile trovare tra i miei vecchi negativi brasiliani una foto di Hildinha. Dopo una lunga ricerca l’ho trovata! Nella stessa striscia c’era anche la foto che vedete di sopra. La storia dietro questa immagine soltanto Dauro può raccontare. Dai Dauro, lo poi fare come vuoi, in italiano, in portoghese, in inglese o in tupi. Vale la pena.
Ky-Hildinha
2007.01.23
Tre giorni fa, l’uragano Kyrill mi ha fatto ricordare gli amici che avevo quando abitavo nella Berlino del muro, nel 1984. Ho pensato a Hilde, Hildinha. Quante volte negli ultimi anni l’avevo cercata tramite internet, persone che andavano a Berlino, ho persino scritto al vecchio indirizzo suo insieme a una lettera al postino berlinese spiegando che era importante per me ritrovare quella mia cara amica. Niente. Nessuna risposta. È stata Kyrill che mi ha spinto a provarci ancora una volta ad aver notizie sue. Mi domandavo se abitasse ancora a Berlino. Ero sicuro di sì. Guardando le immagini alla tv della baldoria che Kyrill ha combinato in Germania, alla stazione ferroviaria di Berlino mi sono preoccupato. Come starà Hildinha? Ho digitato il suo nome nei diversi motori di ricerca ma trovavo soltanto una sua omonima, una esperta di sanità pubblica, docente all’Università di Berlino. Hildinha insegnava tedesco. Così l’ho conosciuta. Per un periodo, non potendo pagare le lezione, lei ha accettato di continuare a insegnarmi ricevendo in cambio lezioni di portoghese da me visto che doveva fare un viaggio in Brasile. Le lezioni e la nostra amicizia continuarono dopo il suo ritorno. Mi raccontò tante cose da un Brasile che io non conoscevo. Ha parlato di un posto bellissimo, una spiaggia con una duna particolare nel “Nordeste” del Brasile, tra Recife e Fortaleza.
È stata anche a San Paolo, per incontrare la mia famiglia: mia madre, mio padre, fratelli e sorella. Il suo resoconto del viaggio è stato fondamentale per la mia decisione di tornare in Brasile, almeno per conoscerlo. Insieme a Gigliola, ho fatto un lungo viaggio lungo la costa brasiliana, fino ad arrivare ad un posto meraviglioso. In una spiaggia che formava una specie di baia con una duna di contorni particolare. Era Ponta Negra, a Natal. Là, abbiamo costruito la nostra casa, dove 10 anni più tardi, nel 1994, avremmo ospitato Hilde e una sua amica. Poi ci siamo persi di vista. Nel 98 è nata nostra figlia. Nel 2000 mi sono trasferito in Italia per stare con Gi e Marina. Non ho mai dimenticato Hildinha, nonostante la mancanza di contatti o di notizie. Perciò ho provato inviare un messaggio a questa docente dell’ Università di Berlino, domandandogli se per caso sapeva qualcosa della sua omonima. Ecco il mio messaggio:
Hello! I'm looking for an old friend of mine called Hilde Hellbernd,
> "Hildinha". Do you think you can help me to contact her? It'd be just
> great if you could.
> Ayres Marques Pinto
Ecco la risposta:
Nao e possivel:
voce e Ayres de Natal??? Onde voce esta neste momento? Mora em Italie?
Come voce vai? Ahora estoy de prisa, mais informacoes mais tarde....
Que alegria ter noticias de voce
Voce me reconhece na homepage
http://www.ifg-gs.tu-berlin.de/projekte/signal/texte/hellbernd_text.html
Beijo
Hilde
Grazie, Kyrill!!!
martedì, gennaio 23, 2007
Viverlo Voglio Ogni Vano Momento
2007.01.22
Nostro tutor del Master, Professor Tiziano Battaggia, ci ha inviato un messaggio dicendo le cose che dobbiamo portare per il laboratorio di psicodramma alla Giudecca: “i corsisti che suonano portino i loro strumenti; tutti portino un oggetto personale, indumento o altro, ivi compreso cibo, a cui sono particolarmente affezionati e che sia in grado di suscitare delle emozioni; a memoria un verso di una poesia o la frase di un racconto a scelta con lo stesso criterio degli oggetti; tutti dovranno aver letto gli appunti”. Porterò il capello che ho fatto con le foglie della palma da cocco che avevo piantata nel giardino di casa mia a Natal, ma porterò anche un tricorno veneziano poiché Venezia comincia a far acqua alta nel mio cuore. Porterò gli ingredienti per preparare brigadeiro, ( popolare dolcetto brasiliano al cioccolato), aggiungerò un po’ di pistacchi tritati che penso si abbinano bene. Proverò a memorizzare un popolare sonetto di Vinícius de Moraes e la traduzione che ne ha fatto Ungaretti.
Soneto da Fidelidade
De tudo, ao meu amor serei atento
Antes, e com tal zelo, e sempre, e tanto
Que mesmo em face do maior incanto
Dele se encante mais meu pensamento.
Quero vivê-lo em cada vão momento
E em seu louvor hei de espalhar meu canto
E rir meu riso e derramar meu pranto
Ao seu pesar ou ao seu contentamento.
E assim, quando mais tarde me procure
Quem sabe a morte, angústia de quem vive
Quem sabe a solidão, fim de quem ama
Eu possa me dizer do amor (que tive)
Que não seja imortal, posto que è chama
Mas que seja infinito enquanto dure.
Sonetto della Fedeltà
In tutto avrò riguardo del mio amore
Prima e con tale zelo e sempre e tanto
Che pur di fronte ad un supremo incanto
Di lui sia più incantato il mio pensiero.
Viverlo voglio ogni vano momento
E in lode sua sprigionerò il mio canto
Riderò il riso e spargerò il mio pianto
Alla sua pena o al suo contentamento.
Così, quando più tardi mi cercasse
Forse la morte, angustia di chi vive
O lo star solo, fine di chi ama
Possa io dirmi dell’amor (che è stato)
Che immortale non sia, posto che è fiamma
Ma che sia senza fine, finché dura.
L’Anno del Porco
2007.01.21
Ho scoperto che 2007 sarà il mio anno. Secondo l’oroscopo cinese sarà l’anno del porco.
Ma a pensarci bene sarà anche l’anno di: Alipio, Chico Canhão, Dauro, Gilfredo, Ottoni, Ambrósio, Enrico, Nazzareno, Guto, Alfredo, Dunga, Fernando, Chiquinho, Gianluca, Giba, J. Medeiros, Moisés, Neca, Nicola, Lorez8, Sandro, Stefano, Tácito, Valentino… E vai!!!
L’anno del porco – E’ l’anno pieno ed abbondante di prosperosi affari. Le opere di carità serviranno ad aumentare il proprio denaro; la generosità ed il sentimento per il bene prevarranno. Comunque è anche l’anno per vedere le cose e gli aspetti con indulgenza, compiacimento e prodigalità.
A Mezzanotte Russerò a Fianco a Te!
2007.01.20
Il mio vecchio amico Dauro Veras ogni tanto mi stimola a condividere con lui le sue 1001 scoperte. È stato lui a insegnarmi ad aprire un blog. Questo qui è il risultato. Lui mi ha presentato al portale “flickr”, alla rivista online JPGMagazine, al google earth, alla Library Thing e a tante altre cose tra le quali un concorso di romanzi della lunghezza massima di 6 parole. Dauro ne ha scritti parecchi. Potete consultarli cliccando qui. Ho pensato a un romanzo horror-erotico che si svolge in una casa di riposo. Eccolo: “A Mezzanotte Russerò a Fianco a Te” “À Meia-noite Roncarei ao Seu Lado”
Kyrill
2007.01.19
Un uragano in Europa! Pensavo che si facesse sentire anche qui in Centro Italia. Ho guardato il cielo dal balcone di casa al tramonto ma niente, una giornata tranquilla. Per fortuna! Ho pensato agli amici che ho conosciuto quando abitavo a Berlino all’inizio degli anni 80. In particolare, ho pensato a Hilde, Hilde Hellbernd. Dove sarà Hildinha? Una volta gli ho chiesto se pensava di andare a vivere in un’altra città che non Berlino. Hilde ha risposto di no. Allora io ho insistito: e se esplodesse una bomba atomica sopra Berlino? Lei mi ha sorriso con quel suo modo dolce e tenace e rispose tranquilla: “morirei insieme ai miei amici”. Sono sicuro che diceva la verità. Hilde è stata una persona importantissima nella mia vita. È stata lei a farmi capire che era ora di tornarmene in Brasile se volessi sentirmi veramente a casa. Hildinha, una persona meravigliosa. Suo unico difetto è che non è riuscita a insegnarmi il tedesco. Ma nessuno è perfetto
BrasiLeMarche – GRACO – GRIFO (Nazzareno – Lorenz8 – Enrico)
2007.01.18
Giornata intensa di contatti e incontri di lavoro e di amicizia. Prima con Nazzareno, un mio docente di euro progettazione, che è diventato un collega e un amico. Nazza ha invitato a me e a Gi, tramite l’Associazione BrasiLeMache, a partecipare a un progetto per l’elaborazione di un corso di portoghese e di italiano nella modalità e-learning. La mia amicizia con Nazza è nata praticamente al nostro primo incontro, quando è scattata quella simpatia reciproca immediata, che poi si è, mano a mano, rafforzata e stesa alle nostre famiglie e ad alcuni amici comuni. Poi mi è venuto trovare Loren8 (Lorenzotto), dopo un sacco di tempo che non ci vedevamo. Lorenz8 è un animatore nato che fa l’artista. Ci siamo incontrati al corso di formazione per animatori professionali nel 2003 ad Ancona. Lorez8 è stato l’unico collega di corso verso il quale mi si era creata una sorta di antipatia. Il destino ha voluto che Lorenz8 sia l’unico tra i colleghi del corso con cui sono rimasto in contatto. Non solo, siamo diventati anche soci e abbiamo creato insiemi l’Associazione GRACO, Gruppo Animatori di Comunità. Loren8 è un tipo molto particolare, è inutile provare a descriverlo, cambia continuamente pur rimanendo sempre se stesso. Un giorno mi ha chiamato per chiedermi di inviargli i file del libro che avevo appena pubblicato: “Il Volto e la Voce del Tempo”, al quale anche lui aveva collaborato. Il giorno dopo mi richiama per dire che il libro era online. Ha fatto un lavoro bellissimo, un regalone. L’unico problema è che avendo lavorato al computer di sua compagna, che usa l’alfabeto cirillico, tutte le lettere con l’accento vengono sostituite da un “”. Da circa 2 anni che lui mi dice che sistemerà tutto tra pochi giorni. Forse l’ha fatto. Andate a verificare. Il sito è: www.voltodeltempo.altervista.org . Poi ho parlato con Enrico, Enrico Smerzini, “un carissimo amico”, espressione che Enrico utilizza spesso al femminile. Enrico è il Cary Grant della psicologia marchigiana. È un bell’uomo e ha una gestualità e uno stile di comunicazione verbale particolarmente eleganti. Abbiamo fatto un viaggio insieme a Lucca per partecipare a un seminario sulla fototerapia e d’allora siamo diventati carissimi amici. Abbiamo un po’ ripreso le conversazioni sul nostro tema ricorrente: la fototerapia. Enrico, un po’ scherzando e un po’ sul serio mi chiama “fototerapeuta”, nonostante la fototerapia, come la intendiamo noi, è una disciplina tutta da creare e il GRIFO, Gruppo di Ricerca sulla Fototerapia, potrebbe essere uno strumento utile.
lunedì, gennaio 22, 2007
Alla Ricerca della Pentola Concettuale
2007.01.17
Da quando ho iniziato il Master a Venezia, ho praticamente abbandonato il corso di cucina all’ alberghiero. Questo era uno dei timori che avevo al momento della mia immatricolazione al Master, ho pensato che forse non sarei in grado di portare avanti i due impegni, come per altro è successo fino ad oggi. Sarà stato il Caffè Pedagogico che mi ha stimolato a riprendere il corso di cucina, che poi sta per concludersi tra pochi mesi? Mi ricordo di aver discusso la questione con Nenê, mia sorella, dopo l’incontro di presentazione ad ottobre a Venezia. Argomentavo che pendevo più a dedicarmi alla conclusione del alberghiero, visto che la qualifica di cuoco mi permetterebbe di trovare sempre lavoro stagionale relativamente ben remunerato e così potrei spendere parte dell’anno in Brasile. Nenê non era d’accordo. Mi ha detto che ciò che in fondo io cercavo si trovava più probabilmente all’Università di Venezia che nelle pentole delle cucine dei ristoranti. In un certo modo aveva ragione Nenê. Adesso mi rendo conto che negli ultimi anni stavo cercando disperatamente una pentola, “panela” in portoghese, una pentola concettuale, un contenitore per i miei vissuti, i miei studi e le mie svariate esperienze professionali,(Schön); un contenitore dinamico, trasformativo, (Mezirow), dentro il quale mettere gli ingredienti che hanno alimentato la mia vita fin qui, (Knowles), per trasformarli in piati. Dovevo imparare proprio a cucinare le mie idee, le mie prassi, ma mi mancava proprio la pentola, la “panela”, (Padoan), dentro la quale trasformare gli alimenti crudi, attraverso l’azione del fuoco della riflessione e delle letture mirate, in eventuali pietanze da servire a tavola. Mi serviva imparare a individuare e nominare i concetti, identificare le matrici teoriche. In altre parole, dovevo esplicitare il mio sapere implicito. Per questo la prima parte del koan che mi collegava alla Padoan era “PAH nela”. Ma perché “PAH nela” e non semplicemente “panela”, (pentola, in portoghese)? Allora, c’era un programma umoristico televisivo che mi piaceva tantissimo vedere quando ero bambino. Si chiamava, "A Praça da Alegria", La Piazza dell'Allegria, nel quale un simpatico signore, Manoel da Nóbrega, seduto su una panchina, chiacchierava a turno, con i frequentatore di questa piazza immaginaria. Uno dei quadri che mi piaceva di più era quando arrivava Walter D'Avila, un tipo molto allegro, spensierato, perspicace, intelligente ma senza scolarità. Una volta il tipo è arrivato e notando che Manoel da Nóbrega era un po’ abbattuto gli domandò cosa fossi successa. “Sono un po’ giù perché ho perso mia nonna. È morta d’infarto del miocardio.” Allora il tipo, facendo una faccia di chi non ha capito niente, diceva: “Poverina”. “Ma tu sai cos’è l’infarto del miocardio?” E il tipo rispondeva imbarazzato: “No”. Allora Manuel da Nóbrega spiegava: “L'infarto del miocardio è una sindrome che colpisce la parete muscolare del cuore e determina la morte cellulare (necrosi) di una parte del muscolo cardiaco (miocardio)”. “Hai capito?” Allora Walter D'Avila, facendo una faccia più perplessa di prima, rispondeva: “Si, certo dopo questa spiegazione, è tutto chiaro”. Improvvisamente, Walter cominciava a piangere. “Perché piangi?”, domandava Manuel da Nóbrega. “Perché mi sono ricordato che anche mia nonna è morta di recente.”, rispondeva il tipo. “E di che cosa è morta?” “È morta di panela” (pentola). “Ma tu sai cosa significa morire di panella?” “No”, rispondeva Manuel. “Allora ti spiego io: mia nonna ha attraversato la strada senza guardare bene da una parte e dall’altra. In quel momento veniva un tram e PAH (onomatopeica di impatto) nela (contro di lei). Perciò mia nonna è morta di PAH nela. Hai capito? ”
Ma che c’entra questa storia con la Padoan? C’entra e come. A volte la Padoan dovendo spiegare un concetto a noi non familiare lo fa utilizzando altri concetti a noi ancora più sconosciuti. Ma quando capisce che non abbiamo capito niente, fa degli esempi del quotidiano,così terra a terra, che sono persino divertenti. Stasera c’e lezione di cucina e io sono diviso. Una parte di me rimarrà a casa con le dispense della Padoan e un’altra parte di me andrà all’alberghiero, ma non andrà da sola; Andrà-go-Gia…
Mente Sana in Corpo Rotto e la Sosia
2007.01.16
Sono arrivato a casa con i muscoli acciaccati e le ossa rotte ma col cuore e la mente in ebollizione. Quattro giorni intensi di stimoli, di emozioni e di piaceri. Mi aspettavano a casa, un mucchio di cose da sbrigare. Ma oggi non era aria. Proprio non ce la facevo, ero in coma. Dovevo permettere al mio cervello quel minimo di tempo per elaborare e godersene tutto quello che abbiamo vissuto nelle ultime centinaia di ore. Credevo di rientrare subito nella mia quotidianità Loretana, ma prima di farlo ho aperto la posta elettronica. Ho letto il messaggio di Alessandra che diceva che si era divertita guardando i koan che avevo inventato e che aveva persino riconosciuto il suo. Ho conosciuto Alessandra nel primo incontro del primo weekend del Master, precisamente il 10 novembre 2006, al Palazzo Mocenigo di Venezia. Quel primo incontro è stato stranissimo. Mi ero sistemato in fondo alla sala dove c’era una presa per il portatile, visto che volevo registrare la lezione; che poi non sono riuscito a farlo. Ecco che da una porta improbabile, proprio in fondo la sala,vedo spuntare Alessandra con una mossa di chi arriva in ritardo. In una frazione di secondo ho immaginato mio notebook per terra, portato via da questa comparsa inattesa; ho guardato la persona che entrava e ho creduto di conoscerla; mi sono alzato per abbracciarla e baciarla; ma l’espressione di perplessità della persona che ha trovato davanti a sé 90 kg di una sorta di aborigene che sembrava pronto all’attacco mi ha fatto capire che si trattava di un inganno. Per tutto lo weekend ho cercato di individuare per chi avevo scambiato quella giovane ragazza; una faccia così conosciuta e a me vicina. Pensavo proprio a questo quando sono arrivato a casa la domenica alle tre di notte, mentre parcheggiavo la macchina. Certo, era la mia vicina di casa, Francesca Falleroni. Una persona così discreta che quando siamo stati presentati per lavorare in un progetto insieme, ho domandato se lei era di Loreto, per poi scoprire che era mia vicina di casa. Così ho chiamato Alessandra Francesca e d’allora, quando incontro Francesca, la chiamo Alessandra, Alessandra Petronilli.
domenica, gennaio 21, 2007
Reciprocità
2007.01.15
Siena – Firenze – Venezia - Ancona
Sono arrivato a Venezia un po’ in anticipo per il Caffè Pedagogico di Ivana Padoan. Ho fatto in tempo pranzare dall’Osteria Da Toni, davanti al Palazzo San Sebastiano, dove avrebbe luogo il Caffè Pedagogico. Ogni lunedì pomeriggio la Padoan riunisce un gruppo eterogeneo di persone per dibattere in maniera organizzata una tematica. Questa è stata la mia prima partecipazione. Ho ripreso l’incontro con la video camera. Si è cercato di preparare l’incontro successivo che avrebbe approfondito il tema della reciprocità, prendendo in considerazione i rapporti uomo – macchina, uomo – donna, maestro - allievo. Credo che questo tipo di incontri siano molto stimolanti. Prossimo lunedì, il Caffè Pedagogico di Venezia sarà collegato in videoconferenza con l’Università di Roma.
Il tema della reciprocità è attuale e affascinante. Mi fa riflettere come la società postmoderna riprenda e dia una dimensione scientifica ad alcune pratiche “primitive” che vengono a soccorso di questo nostro mondo che in questo momento ha sempre più possibilità di aiutare gli uomini e gli altri essere viventi a conquistare la felicità, ma che allo stesso tempo sembra dimostrarsi incapace di farci avviare definitivamente sulla strada del benessere spirituale. Facendo un giro in internet ho incontrato un libro di Luigino Bruni intitolato Reciprocità. Mi pare di averlo ascoltato a Radio 3 Scienza. Ho fatto una lunga ricerca negli archivi di quel programma ma non sono riuscito ad riascoltare quella trasmissione. Ho trovato anche una tesi sullo stesso argomento: il paradosso del dono fra reciprocità e dispendio, di Cristina Tagliabò. Mi piacerebbe tantissimo partecipare all’incontro del Caffè Pedagogico del 21 gennaio. Mi sarebbe molto piaciuto dare un contributo a livello gastronomico a questo dibattito, portando “brigadeiro” (dolcetti al cioccolato popolarissimi in Brasile), quindim e tapioca. Vorrei pure inventare un dolce in forma di bastoncino rosso e chiamarlo “pau-brasil”. Non mi ricordo dove ho letto che la Venezia del cinquecento è stata costruita sopra i tronchi millenari di pau-brasil arrivati dalla nuova colonia portoghese.
Russi da Morire!
2007.01.14
Ieri ho dovuto cambiare stanza, la singola non era più disponibile. Ho dormito in una camera doppia con Max, il Bello. Poverino, non stava tanto bene. Le vicende del cuore, da una parte, e l’imbarazzo della scelta dall’altra, hanno messo in crisi altre parti del suo organismo. Il suo malessere, mal di pancia per gli altri mortali, ha creato un certo subbuglio nel riparto donne (97%) del Master. Prendendo spunto da questa atmosfera frizzante che si è creata a torno a lui, ho raccontato, la mattina dopo, che abbiamo passato la notte in ospedale. Non solo; ho detto che il medico aveva affermato che il malato aveva bisogno di tante coccole. Non ostante l’assurdità della storia mi hanno creduto tutti, anzi, tutte. Quando Max è entrato in sala è stato subito sottoposto a un trattamento intensivo “coccolaterale”. Dopo un po’, Max mi si avvicina e dice: “ Te lo dicco in simpatia, ma russi da morire!”
Questa è stata per me una rivelazione sconvolgente. Ma come, nessuno mi ha mai detto! Certo, mica vado in giro dormendo con altre persone, purtroppo. Ma almeno Gi mi avrebbe detto qualcosa.
Finito l’incontro, mi sono diretto a Siena per incontrare Gi, che doveva dare un esame all’Università la mattina seguente. Ci siamo incontrati sul treno nel tratto Bologna – Firenze.
Gi, il mio compagno di stanza ha detto che russo da morire.
“A chi lo dice!”
Ma come a chi lo dice, tu lo sapevi? Perché non mi hai mai detto niente?
“Ma dai che non è grave. Poi, non è sempre che russi”
E quando russo?
“Soltanto quando dormi”
Siamo sposati da più di vent’anni e Gi mi tiene le cose nascoste. Uhm, mi ha messo la pulce nell’orecchio.
Ci abbiamo mangiato sopra, in un ristorantino vicino al residence dove eravamo ospiti a Siena. Gi era in grande forma. Prima di rientrare ci siamo fermati un attimo in una chiesa dove si faceva una sorta di vigilia. Sul portone d’entrata c’era una citazione di Sant'Agostino: “Una piccola cosa è certamente una piccola cosa, ma fare bene una piccola cosa, è una grande cosa.”
Siamo andati a letto e alla fine mi sono addormentato e sicuramente avrò russato; bene.
Scacchi, Guerra e Garibaldi
2007.01.13
Secondo giorno del seminario di psicomotricità. Abbiamo discusso le questioni suscitate dalle lezioni, in piccoli gruppi.
Alla fine della giornata, mentre aspettavo per uscire con le colleghe per andare a cena, mi è capitato davanti un folder che parlava della Piazza di Marostica dove, negli anni pari, si tiene una partita di scacchi viventi, una tradizione che risale al 1454. In quel anno due giovani nobili volevano battersi in un duello per contendersi la mano della figlia del Castellano del paese. L’illuminato Castellano ha proposto che la disputa si facesse con una partita di scacchi, in piazza. Il vincitore si sarebbe sposato con la figlia oggetto della disputa, mentre lo sconfitto sposerebbe la sorella.
Mi sono ricordato che nel 1990, prima della guerra di Bush padre contro Saddam Hussein, la neo creata Babilônia ha organizzato un torneo di scacchi con la partecipazione di persone di diverse nazionalità residenti a Natal, come forma di manifestazione ludico culturale contro la guerra imminente. Quanto sangue sarebbe stato risparmiato se il conflitto fosse risolto diversamente. A diciasette anni di distanza, si combatte ancora, non si sa bene perché. La guerra dovrebbe diventare un tabù, una sorta di azione non degna dell’essere umano civilizzato. Sarà cosi un giorno? O ci ammazzeremo tutti prima?
Nel frattempo, sono arrivate le colleghe e siamo andati a mangiare alla Trattoria Garibaldi, l’eroe dei due mondi. Siamo stati da Dio, abbiamo mangiato e bevuto in santa pace. Al posto del sangue, il vino; invece delle bombe ci siamo fatte tante risate.