giovedì, febbraio 22, 2007

Urlo per la Pace


2007.02.15
Il 15 Febbraio 2003, milioni e milioni di persone, in tutto il mondo, sono scesi in piazza per manifestare contro tutte le guerre e, in particolare, contro la guerra che gli Stati Uniti stavano preparando contro l’Iraq. Non ho mai amato la folla, le ho sempre evitate, ma nella Manifestazione per la Pace di Roma c’ero anch’io. Eravamo in circa 2 milioni, solo a Roma. Aver vinto la mia paura della folla mi ha ripagato con una centinaia di foto, un forte sentimento di appartenenza a un gruppo che lanciava un Urlo per la Pace, ma soprattutto, ho conosciuto due donne che sono diventate mie amiche, LE MIE AMICHE in Italia, Daniela e Marisa. Con loro ho condiviso dei momenti più belli da quando mi sono trasferito in Italia. Prima di conoscerle mi sentivo orfano di amici. Marisa e Daniela mi hanno introdotto a una sfera affettiva che ha trasformato il grigiore del mio soggiorno in Italia in una dolce avventura a colore. Va bene, non sono i colori vivaci dei tropici, sono piuttosto colori pastelli di acquarelli, ma che mi hanno cambiato la qualità affettiva del mio rapporto con la città di Ancona, con Le Marche e con la gente del paese che mi ospita. Il 15 Febbraio mi ha permesso di vivere ancora una volta un connubio di emozioni un po’ fuori moda, ma che rimane sempre una bomba-arcobaleno per il cuore degli uomini: Pace e Amore.

La Biblioteca di Alessandro


2007.02.14
Loreto ha una biblioteca comunale talmente piccolina che non m’invitava ad andare a cercare dei titoli specialistici, in un’area poi poco conosciuta come quella della fototerapia. Visto che avevo esaurito tutte le mie strategie per ritrovare alcuni titoli importanti per la stesura del mio libro, "Il Volto e la Voce del Tempo", decisi di visitare la Biblioteca di Loreto. Certamente non disponeva dei titoli che ricercavo, ma ho incontrato un bibliotecario, un animatore di biblioteca, non so come definirlo: Alessandro, insomma, che si è preso la briga di procurare lui stesso una ventina di titoli che non ero riuscito a trovare da nessuna parte. I titoli che mi premevano di più avere erano “Phototherapy in Mental Health” di David Krauss, e “The Face of Madness” organizzato da Sander Gilman, che erano pure i più difficili da rintracciare. Dopo pochi giorni, Alessandro mi chiama al telefono dicendomi di venire a ritirare i volumi. Uno dei titoli Alessandro ha incontrato in una piccola biblioteca norvegese, che ha spedito il volume gratis perché era la prima volta che veniva richiesto da qualcuno. Il risultato è che ho perso l’abitudine di cercare i libri a destra e a sinistra da quando ho scoperto la mia “Biblioteca di Alessandria”, dietro l’angolo.

Empowerment


2007.02.13
Nella seconda parte del Caffè Pedagogico del 12 febbraio 2007, il professor Roberto Fini, parlando d'empowerment, ha dimostrato come la nostra concezione riguardo la natura della intelligenza incide sulla performance cognitiva, nostra e altrui, indipendentemente del fatto che le nostre opinioni siano giuste o sbagliate. Da questa constatazione deriva l’importanza di conoscere la concezione che i soggetti hanno sulla natura dell’intelligenza, perché queste concezioni funzionano come agente rallentante o stimolante dei processi cognitivi.
Se l’individuo ha un’idea dell’intelligenza come fatto innato e si crede poco intelligente, o, nel caso dell’insegnate, crede che l’allievo sia poco intelligente, penserà che qualsiasi intervento cognitivo o didattico avrà scarso effetto. Paradossalmente, anche l’individuo che avendo una concezione innata dell’intelligenza ma che si crede molto intelligente riterrà anche lui di scarso effetto qualsiasi intervento cognitivo.
Se, al contrario, si crede che l’intelligenza propria e degli altri sia di natura accrescitiva, allora gli interventi cognitivi e didattici saranno percepiti come potenzialmente più efficace.
Queste diverse concezioni devono essere prese in considerazione nel momento della scelta delle strategie didattiche che si vuole mettere in campo.


Per vedere in formato maggiore clicca Qui
Mentre il Professor Fini parlava di empowerment, io pensavo come la sua lezione potesse influenzare la mia condotta da genitore.

mercoledì, febbraio 21, 2007

Reciprocità – 2


2007.02.12
Una volta al mese la Professoressa Ivana Padoan organizza un Caffè Pedagogico all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Per l’incontro di febbraio ha voluto sperimentare a fare uno Spriz Pedagogico. Nella prima parte dell’incontro, si è parlato della creazione di un blog del caffè, che Andrea ha già aperto. Poi si è fatta una valutazione della video conferenza sul tema della reciprocità. A proposito della reciprocità, mi ricordavo di aver sentito un programma a Radio Rai 3 dedicato proprio a tematiche di questo tipo. Ho scritto una letterina a Radio 3 chiedendo informazioni. Mi ha sorpreso la tempestività e la gentilezza della risposta del Signor Marco Motta che ha azzeccato in pieno ciò che cercavo. L’ascolto delle trasmissioni di Radio 3 sull’argomento può arricchire le discussioni del caffè, sia per i contenuti che per la forma come l’argomento è stato trattato.
Riporto il messaggio del gentile Marco Motta di Radio 3 e in seguito la sintesi dei contenuti dei programmi da lui menzionati:

Gentile Aires,
purtroppo anche noi troviamo una certa difficoltà nel rintracciare a quale puntata si riferisce, nel senso che abbiamo dedicato diverse puntate ai temi dell'altruismo della cooperazione e della reciprocità, per esempio le due che può riascoltare cliccando sui link riportati qui sotto.

http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=191206

http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=166949

L'altra segnalazione che le può forse essere di qualche aiuto è il ciclo La follia dell'utile andata in onda proprio un anno fa a cura di Franco Carlini e la trova qui (http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/lafolliadellutile/). Sperando di esserle stato utile, la saluto e la ringrazio per il suo assiduo ascolto,
cordialmente

Marco Motta



Così impari. Ad essere altruista

http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=191206
Il terzo anello radio tre scienza 19/10/2006


"È per il tuo bene": ce lo dicevano da piccoli prima del castigo. Oggi alcuni antropologi precisano: è per il bene dell'intera società. La punizione dei comportamenti egoistici, infatti, favorirebbe la coesione sociale. E così nella nostra storia evolutiva si sarebbe fatto strada l'altruismo. Dagli studenti della Emory university agli indigeni della Nuova Guinea, come si indaga la natura dell'altruismo?



Ne parla Franco Carlini, con Luigino Bruni, economista dell'università di Milano Bicocca, e Adriano Favole, antropologo culturale dell'università di Torino.



E ancora, a Radio3 Scienza, si fa presto a dire maschio. Pietro Parma, dell'Istituto di genetica medica dell'università di Pavia, ci racconta perché un embrione, a parità di Dna, nasce Caterina oppure Luciano.



E infine Lucio Martino, analista per il Cemiss (Centro militare studi strategici) sulla politica estera Usa, ci spiega cosa c'è dietro la decisione di Bush di chiudere lo spazio ai paesi nemici

Luigino Bruni libro: reciprocità
Ultimatum Game
Dictator Game
Punitore altruista
Senso della giustizia e predisposizione genetica
Ruolo della cultura nel modellare le condotte
Punizione: emarginazione dal gruppo
Cooperazione tra diversi
Luigino Bruni autore del libro: Reciprocità




Buoni si nasce
Il terzo anello radio tre scienza
10/03/2006
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=166949


L'uomo è generoso di natura, almeno in tenera età. Ma non si tratta di una peculiarità tutta sua. Di fronte a un compagno bisognoso d'aiuto, infatti, uomini e scimpanzé reagiscono allo stesso modo. Ma da dove viene questo altruismo innato? Quale è il valore adattativo della bontà? E, ancora a Radio3 scienza, ecco a voi gli atleti paralimpici.



Con Pietro Greco e i suoi ospiti. Gli ascoltatori possono scrivere all'indirizzo radio3scienza@rai.it.



Tra gli ospiti e gli intervistati di oggi:
Luigi Anolli, docente di psicologia della cultura e della comunicazione all'università di Milano Bicocca,
Marco Bernardi, responsabile sanitario del Comitato paralimpico,
Franco Carlini, giornalista e conduttore di Radio3scienza,
Augusto Vitale, etologo dell'Istituto superiore di sanità.

Altruismo e predisposizione genetica
Propensione dell’uomo all’altruismo
Filogenetica evolutiva
Ultrasocialità
Altruismo e l’evoluzione umana
Epigenetica interdipendenza della genetica e dell’ambiente
Altruismo come lubrificante della vita sociale
Mente multiculturale – sfida del 21 secolo



Il Terzo Anello:
LA FOLLIA DELL'UTILE
9 gennaio 2005 a venerdì 3 febbraio
http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/lafolliadellutile/
LA FOLLIA DELL'UTILE
'Eppur si dona'

di Franco Carlini e Patrizia Feletig
condotto da Franco Carlini
a cura di Cettina Flaccavento
regia di Diego Marras
Da lunedì 9 gennaio 2005 a venerdì 3 febbraio andrà in onda su RadioTre alle ore 18,00 "La follia dell'utile" un ciclo dedicato al dono e all'altruismo. Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì.

Nella società moderna dominata e consacrata all' "idolo" dell'utile, è convinzione comune che il dono sia raro e la gratuità impossibile. Soprattutto si ritiene che i comportamenti altruistici siano irragionevoli perché è inverosimile donare senza rimetterci. Sono antitetici alla logica di un ritorno dell'investimento.

Nelle 20 puntate, attraverso le conversazioni con studiosi di varie discipline, il dono viene narrato attraverso le molte lenti di storia, economia, sociologia, filosofia, antropologia e persino del buon senso empirico che scaturisce dalla vita quotidiana. Un percorso che condurrà l'ascoltatore in epoche e luoghi diversi, spaziando tra culture e specie.

Al di là della socialità primaria dove gli si riconosce legittimità, il dono come omaggio all'oscuro dio dell'inutile e del dispendio è generalmente rifiutato e contrastato dall'ideologia dominante, semmai relegato nella sfera artistica e soprattutto religiosa. Al più, sotto la veste caritatevole, il dono, diventa compensazione agli eccessi del mercantilismo.

Addentrandosi nella topografia dell'altruismo e della filantropia, si scoprirà invece che il dono non è trascendente o irrazionale ma è esattamente l'altra faccia - la più significativa - della società umana, di importanza almeno pari alle motivazioni utilitaristiche. Pur rimanendo la parte più incantata e fantasiosa della vita sociale ed economica moderna, anche il dono segue una logica. Pur essendo libero da regole, il comportamento oblativo si conforma a rituali e codici magari non esplicitati ma sempre condivisi.

E così l'assunto di partenza dell'homo oeconomicus che prende, calcola e capitalizza in contrapposizione all'homo largitor che offre senza rifletterci si capovolge. Il comportamento altruista non rappresenta più una devianza rispetto alla pulsione primaria e irriducibile dell'egoismo. Piuttosto è il calcolo esclusivo del proprio tornaconto che si rivela un errore, una distorsione, rispetto alla naturale indole umana di aiutare, condividere, collaborare e cooperare.

Puntata 1
09/01/2006
Eppur si dona
Un trailer che, attraverso stralci delle interviste e letture di brani, propone il ragionamento che governa l'intero ciclo: l'altruismo è davvero, come appare, un'insondabile e irragionevole eccezione all'ineccepibile logica utilitaristica?

LE MUSICHE

Enzo Grangnaniello Pamunt Roma Group Alberi
CNI Cndl 12167



Michael Nyman Michael Nyman Band Final Score Part 1
Newtone NT 6714



Goran Bregovic Goran Bregovic Pousuite
Mercury 546 204 2



Rene' Aubry Rene Augry Dolce Vita
Hopi Mesa 3094762



Patrizio Fariselli Patrizio Fariselli Danza ad anello
Edel 0161252



Clara Graziano Circo Diatonico Marcia di carovana
Finisterre FT014



Utilitarismo – tarlo della nostra società - follia dell’utilitarismo e le ragioni dell’altruismo
Interdisciplinarietà - filosofia, scienze politiche, antropologia, psicologia sociale, sociologia, economia, teoria dei giochi matematici, etologia – le tematiche del dono – circolo virtuoso – donare – ricevere – restituire – Adam Smith – critica della ragione utilitaristica – doni simbolici – Bataille il limite dell’utile – il mistero del dono – economie basate sul dono e la reciprocità – dalla follia dell’utile al mistero del dono – collaborazione, condivisione, cooperazione, solidarietà, dono – valore d’uso e valore di scambio - valore di legame -

martedì, febbraio 20, 2007

Il Bastone e la Pioggia


2007.02.11

Il Professor Mario Paolini ci ha proposto nel suo seminario una interessantissima esperienza attraverso la quale illustrava le forme e le modalità del suo agire musicoterapeutico. Dalla preparazione del setting alla ricerca di strategie per l’instaurazione di comunicazione con persone speciali, passando per la costruzione e riparazione degli strumenti che possono essere utilizzati negli interventi di musicoterapia, bastone della pioggia compreso. A un certo punto della lezione ci ha invitato a riflettere sull’enorme potere che una maestra o un insegnate ha e come questo potere si traduce nel senso di contribuire o meno alla crescita, all’autonomia e al benessere dei bambini. Arrivando a casa ho incontrato mia figlia che doveva portare a scuola uno strumento musicale da lei costruito. Frugando nella busta di riciclaggio abbiamo trovato delle bottiglie che quando riempite d’acqua in quantità diverse producono differenti note. A Marina è piaciuta l’idea. Si è presa delle bottiglie e le ha portate a scuola. Quando è rientrata era molto giù di morale perché la maestra aveva rifiutato il suo strumento che produceva un suono “spiacevole”. Ho avuto l’impulso di andare a chiedere spiegazioni alla maestra di musica, ma dopo ci ho ripensato e insieme a Gi e Marina abbiamo fatto una ricerca su internet su strumenti musicali costruiti con materiale di recupero. Abbiamo trovato un progetto molto interessante di Giacomo Battara e Paolo Pasini svolto a Ferrara nel 2004. Si è deciso di fare il bastone della pioggia, strumento indigena dell’America Centro Meridionale, con un tubo di cartone e chiodi che nonno Romolo ci ha procurato. Le lenticchie, per mettere dentro il tubo, ci ha dato nonna Luisa e la nipotina ha decorato il bastone con colori bellissimi. Marina è tornata a casa radiante raccontando che la maestra ha fatto vedere il bastone a tutte le altre maestre dicendo che quello era il più bello tra gli strumenti portati. La mancanza di tatto della maestra di musica ci ha spinto a raggruppare la famiglia per aiutare una bambina di otto anni a svolgere un'attività scolastica. E pensare che Marina non voleva più andare alla lezione di Musica…

Dalla Stalla alle Stelle: Andata e Ritorno


2007.02.10
Il Professor Paolo Troncon, direttore del Conservatorio di Vicenza e compositore, nella sua lezione di oggi ci ha guidato lungo un percorso che partiva dalla sensazione uditiva per arrivare al pensiero musicale. Nell’esplicitare ed analizzare le strategie mentali sottostante alla nostra produzione sonora, ha dimostrato che siamo dei compositori, indipendentemente dalla nostra formazione musicale. Si può immaginare la soddisfazione di chi si è sempre creduto negato per la musica nel sentire una sua improvvisazione alla tastiera essere scandagliata fino a scoprire l’architettura nascosta nella sua composizione. Attenzione, Stockhausen, che adesso soniamo noi!
In un’altra lezione però, il Professor Lino Vianello, ci ha proposto un banalissimo gioco composto da quattro cerchi da cui dovevamo ricavare il numero 5. Abbiamo impiegato oltre 1 ora per arrivare alla soluzione. Dopodiché siamo stati portati nella stanza di sopra per vedere il video di un ragazzino, con serie difficoltà di apprendimento, a cui è stato proposto il medesimo gioco. La proiezione è durata 5 minuti. E noi li chiamiamo deficienti…

lunedì, febbraio 19, 2007

La Musica non Esiste


2007.02.09
“Per me la musica è la vita. Io penso musicalmente.” Così ha esordito il Professor Lino Vianello nella lezione di oggi al Centro Studi di Musicoterapia e Linguaggi non Verbali a Campalto, Venezia. Questa frase mi ha fatto pensare a Mario de Andrade, una delle figure più rappresentative dello scenario culturale brasiliano del 900. Mario de Andrade è lo scrittore più simpatico di cui abbia mai sentito parlare. Non ostante lui pensasse che “Não devemos servir de exemplo a ninguém. Mas podemos servir de lição.”, ho trovato in lui, “paulistano” come me, un modello di vita a me congeniale. Penso di aver letto quasi tutto che ha scritto e avrei voglia di rileggere tante cose sue, se avessi la mia biblioteca qui in Italia. Mi trovo molto in Mario de Andrade. Era amante della musica, si è innamorato di Natal e voleva andare a viverci, si divertiva con la sua macchina fotografica, era brutto ma sorridente, proprio come me e anche lui ha avuto la vita segnata dalla perdita di un fratello. L’unica differenza è che Mario di Andrade a la mia età aveva rivoluzionato la cultura brasiliana del suo tempo e io non ho ancora messo a posto la cucina di casa. Mario di Andrade ha descritto il mio carattere, ancora prima che io fossi nato, nel romanzo-fiaba-indigena “Macunaíma – l’eroi senza carattere” che ha ispirato il film omonimo di Joaquim Pedro de Andrade. Mario de Andrade si è formato al Conservatorio Musicale di São Paulo di cui è stato direttore, ma a un certo momento ha deciso di dedicare la sua vita ad altro che la musica perché “ha scoperto che la musica non esiste, ciò che esiste è l’arte”. Così si è tuffato nella letteratura e nelle arti figurative e ha contribuito a introdurre “carnevalescamente” il modernismo nel Brasile parnassiano. Più tarde avrebbe capito che ciò che lo affascinava non era l’arte, ma la vita. Allora si è dedicato al folclore, all’”antropologia fantastica”, alla fotografia e ha influenzato intellettuali del calibro di Câmara Cascudo. Ma, prima di morire, si è reso conto che la vita non è altro che… MUSICA!

Mutuo Aiuto


2007.02.08
La Professoressa Assunta mi ha invitato a conoscere le attività di un gruppo di auto-mutuo-aiuto per vedere se può venire fuori qualche idea di dialogo con la fotografia terapeutica. Sentire la voce della professoressa Assunta mi riempie di una gioia infantile, come ascoltare il canto di un uccellino birichino. La Professoressa è una di quelle persone che riescono a combinare con naturalezza la serietà con il senso di umorismo. Il suo humour non si manifesta attraverso le battute ma attraverso lo sguardo e il sorriso che a volte diventa risata e che dice più delle parole. Non vedo l’ora di incontrare le persone del gruppo di auto-mutuo-aiuto che già prima di conoscerli voglio bene e di rivedere la Professoressa Assunta che per me è un vero privilegio.

Embracing skeletron


Avevo chiesto a mio zio Hercilio Ferrari se sapeva i nomi e i cognomi dei suoi antenati italiani. Zio Hercilio mi ha informato che suo padre si chiamava José Ferrari e sua madre Virginia Viapiana e sono nati in Brasile ma i loro genitori sono originari da Vicenza e Mantova rispettivamente. Oggi è stata divulgata la scoperta di una coppia del neolitico che è stata sepolta romanticamente abbracciata proprio a Mantova. Ho scoperto così gli antenati di Zio Hercilio e Zia Olga e di tutti noi: l’amore.

domenica, febbraio 18, 2007

L’Educatore – Animatore


2007.02.06
Il direttore di una casa di riposo dove ho lavorato mi ha richiamato perché ha ricevuto dalla Regione una direttiva che esige dall’istituzione la presenza della figura dell’ educatore-animatore. “Ayres, tu sei un educatore-animatore?”. Sapevo che in alcune regioni, come in Campania, si è deciso di equiparare queste due figure. Mi sono rivolto all’ufficio formazione della Regione Marche per cercare una risposta. Il Dottor Nino Santarelli ha girato la mia domanda al Dottor Giuseppe Forti che, molto gentilmente mi ha spiegato che:
“L'allegato "B" al regolamento regionale, che forse Lei ha potuto consultare, prevede tra i requisiti di accesso per svolgere la funzione educativa anche....
- Laurea in discipline sociali o umanistiche (scienze della formazione e dell’educazione, psicologia, scienze sociali) del vecchio ordinamento universitario.
- Qualifica professionale conseguita dopo corsi post-diploma riconosciuti dallo Stato o dalle Regioni.
La Regione è in procinto di definire analiticamente i corsi di laurea ricompresi nella dizione "discipline sociali o umanistiche": credo che la laurea in lettere ci rientri.
In seconda istanza bisognerebbe verificare se la qualifica di animatore da Lei conseguita è inserita nel Tabulato regionale delle qualifiche (durata del corso 400 ore).
Potrei verificare la cosa avendo indicazioni più dettagliate sul corso.”
L’animazione e l’educazione sono due pratiche diverse anche se limitrofe. L’animazione e l’educazione hanno in comune il fatto che entrambi sono delle PROFESSIONI che operano nel sociale con lo scopo di attuare il potenziale e incrementare le possibilità dei soggetti, individuale e aggregati, di raggiungere il benessere. Animatori e Educatori si differenziano per gli strumenti che adoperano e per l’enfasi che ognuno da agli obbiettivi specifici all’intero della relazione di aiuto. L’animatore utilizza nella sua prassi strumenti ludici e di attivazione culturale e relazionale che fanno riferimento alla comunicazione e ai linguaggi non verbali, al linguaggio artistico, alla psicologia sociale e di comunità e alle terapie espressive. Secondo me l’animatore è soprattutto un “costruttore di ponti” tra gli individui all’interno di un gruppo e tra i gruppi all’interno di una comunità. L’azione dell’animatore enfatizza gli aspetti di ricreazione, sensibilizzazione e di aggregazione utilizzando tecniche ludiche ed espressive che provengono dal teatro, dalla pittura, dalla musica, pittura, fotografia e dalla tradizione. L’educatore agisce più nella direzione dell’integrazione sociale e culturale. Perciò, anche la formazione dei due professionisti non coincide. Ho l’impressione che l’animazione professionale, come pensata da pionieri come Guido Contessa, cambierà nome o sarà assorbita dall’educazione. Una carissima amica, Barbara, parlando dei miei interventi nelle case di riposo e del libro che ho pubblicato ha osservato che non poteva chiamare animazione il mio lavoro perché sarebbe avvilente. Non c’è niente da fare: Give a “job” a bad name and hang it!

Cantare in Volo


2007.02.05
“Mai dire da quest’acqua io non berrò”, ammoniva sempre Marilva, mia madre. “Perché quando lo dici, la vita ti porta spesso a dover placcare la sete bevendo l’acqua proprio da quella fontana o da quella pozzanghera e la berrai tanta e la troverai pure buona”.
Per saggezza o per scaramanzia io non dico più “da quest’acqua non berrò” e provo a non pensarci nemmeno, perché mi è capitato più di una volta di dover rimangiare le mie parole o di dover ribere i miei pensieri.
Allevare uccellini in gabbia, per esempio, esiste qualcosa di più crudele o di più sadica? “Ecco una cosa che non farò mai!”, dicevo a me stesso. Finché un giorno uno dei muratori che costruiva la nostra casa a Ponta Negra, Júlio, detto Nêgo de Cabaço, arriva da me con una sabiá in gabbia. Senza dire parola, mette un chiodone nella parete della veranda, appende la gabbia e poi sistemando due sedie alcuni metri distante, mi fa segno di stare in silenzio e di aspettare. Dopo alcuni minuti il canto della sabiá esplode, echeggia dentro casa e letteralmente riempie tutto lo spazio circostante con una serie di canti variegati che sembravano durare una eternità. Notando la mia espressione di sorpresa e di meraviglia, mi avverte: “Vedrai l’effetto che fa la mattina presto il primo canto del giorno”. Infatti, il canto di una “sabiá che canta” vicino a te nel silenzio dell’alba è una “musica” che soltanto un Dio-Indio potrebbe concepire. Quella sabiá è stata la prima di un allevamento di uccelli in gabbia che ho avuto per anni.
Rimane sempre il fatto che tenere uccelli in gabbia è una crudeltà tremenda, come lo sono il matrimonio e l’imposizione della fedeltà, la scuola e la fabbrica, come andare in macchina e inquinare il pianeta, come tagliare un albero o mangiare carne. La crudeltà in tutte le sue forme deve essere messa in discussione. Sarebbe auspicabile che ognuno si impegnasse a dare il suo contributo alla ricerca del superamento o quantomeno di una mediazione tra le cose così come stano e le cose come potrebbero o dovrebbero stare e che non si limitasse a liquidare tutte le questioni con un semplice giudizio di condanna. “Accendere una candela invece di maledire l’oscurità”, consigliava Lao Tzu.
Allevare degli uccelli in gabbia ha significato per me dover alzarmi presto la mattina per cambiare le vaschette d’acqua, i contenitori di semi, la frutta, e la sabbia che sta alla base della gabbia. Dovevo osservare se ogni uccellino stava bene, se aveva mangiato, capire le loro preferenze alimentare, stare attento ai sintomi delle malattie. In quel periodo il giardino di casa era pieno sempre pieno di volatili perché il canto degli uccelli in gabbia attrae altri della stessa specie. Le loro jam sections, fatte da dispute e corteggiamenti producono delle melodie emozionante che i musicisti umani possono soltanto sfiorare.
Durante uno dei viaggi in treno per Venezia ho iniziato a scrivere, sul verso di una dispensa di musicoterapia, le storie dei miei rapporti con quelle bestiole: il loro arrivo, il soggiorno e alla fine la loro liberazione. Era un’allegria sofferta tenere gli uccelli in gabbia, c’era un’identificazione da parte mia verso di loro. Mi sentivo in gabbia anch’io. È stata una sofferenza allegra liberarli. Ammiro gli uccelli in libertà ma non mi identifico con loro. Sono uno strano uccello che vive costruendo delle gabbie in torno a sé: casa, macchina, treno, scuola, lavoro. Non ho avuto il coraggio di volare. Non ancora.
Rientrato alla mia dolce gabbia blu, a Loreto, ho intrapreso un viaggio nella foresta della Rete cercando i siti che mi facessero sentire i canti degli uccelli brasiliani. C’e ne sono alcuni meravigliosi. Se andate su ( http://www.eln.gov.br/Pass500/BIRDS/1eye.htm ) 500 Pássaros do Brasil e cliccate su busca potete vedere e sentire tanti uccelli che sono organizzati in ordine alfabetico. Potete anche giocare ad indovinare a quale uccello appartiene il canto. Un altro bellissimo sito è http://www.opescador.psc.br/cantosdasavesdobrasil2.htm Cantos das Aves do Brasil.
Soltanto oggi, dopo vent’anni, ho capito meglio i significati dell’affermazione di Nêgo di Cabaço quando mi ha regalato la sabiá. “Questa sabiá è come te: poliglotta”. Ho sempre preso quella frase come una battuta. Invece oggi, mentre cercavo su internet una registrazione del canto di quell’uccellino che ho avuto acanto per anni, ho imparato da Jacques Vielliard che “poliglotta” è effettivamente una specie rara di sabiá che riesce a memorizzare i canti di diversi uccelli e di riprodurli tutti in fila. Ma che al contrario di altri uccelli imitatori, non ha un canto proprio. Adesso capisco la reazione di Nêgo di Cabaço alcuni anni più tardi quando ha saputo che io l’avevo liberata. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò in un altro blog.
Per agevolare il godimento di una piccola parte del materiale audio visivo contenuta nei siti menzionati, ho preparato queste brevi presentazioni di uccelli che ho avuto, visto o sentito in Brasile. Ironicamente non sono riuscito a trovare un’immagine della sabiá poliglotta, ne su internet ne tra le mie foto, ma soltanto il canto di un esemplare.
Sabiá-laranjeira
Sabiá da Mata
Sabiá-poca
Pica Pau de Topete Vermelho
Graúna ou Pássaro Preto
Seringueiro ou Fri-frió
Sabiá da Praia
Sabiá do Campo
Curió
Bem-te-vi
Araponga-de-barbelas
Olho de Fogo
Sabiá Poliglotta

mercoledì, febbraio 07, 2007

Ci si Lascia il Cuore


2007.02.04
Siamo andati in piscina insieme, Gi, io e Marina, dopo un sacco di tempo. Ho approfittato e ho fatto anche un po’ di sauna. Ahh che buono. All’uscita ho scambiato qualche parola con Paolo Pirchio, un amico italiano che è stato mio ospite in Brasile. “Da quanto tempo non vai in Brasile?”, mi domandò. “Da tanto.” Risposi. “Ah, Natal, ci si lascia il cuore!”, ha sospirato. “A chi lo dici!?!!” risposi.

L’Infinito


2007.02.03
Stasera siamo andati a cena con Nazzareno e Carla dalla Trattoria Donzelletta in mezzo alla campagna di Recanati. Il ristorante prende il nome da un verso dell’illustre poeta recanatese Giacomo Leopardi, del canto Sabato del Villaggio.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.

Dopo cena, dopo il vino e la grappa, ho riletto uno dei miei poemi preferiti, “L’Infinito”, uno dei poemi più tradotto nel mondo. Mi sono ricordato della “trascriazione” di Haroldo de Campos, che è stato nostro ospite allo Spazio Culturale Babilonia di Natal, il 15 settembre 1992, una serata indimenticabile. Haroldo è arrivato a casa per le mani di Francisco Ivan. È arrivato con Jota Medeiros, João da Rua, Afonso Martins e Abimael Silva. Stelle di prima grandezza. Pure Vinicius de Moraes ha tradotto L’Infinito e che traduzione!
Considero “L’Infinito” di Leopardi un “anticipazione” del training autogeno. Hai mai provato il Training Autogeno? Quale traduzione preferisci? Fammi sapere.

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

Trascriazione di Haroldo de Campos

A mim sempre foi cara esta colina
deserta e a sebe que de tantos lados
exclui o olhar do último horizonte.
Mas sentado e mirando, intermináveis
espaços longe dela e sobre-humanos
silêncios, e quietude a mais profunda,
eu no pensar me finjo; onde por pouco
não se apavora o coração. E o vento
ouço nas plantas como rufla, e àquele
infinito silêncio a esta voz
vou comparando: e me recordo o eterno
e as mortas estações, e esta presente
e, viva, e o seu rumor. É assim que nesta
imensidade afogo o pensamento:
e o meu naufrágio é doce neste mar.

Traduzione di Vinicius de Moraes

Sempre cara me foi esta colina
Erma, e esta sebe, que de tanta parte
Do último horizonte, o olhar exclui.
Mas sentado a mirar, intermináveis
Espaços além dela, e sobre-humanos
Silêncios, e uma calma profundíssima
Eu crio em pensamentos, onde por pouco
Não treme o coração. E como o vento
Ouço fremir entre essas folhas, eu
O infinito silêncio àquela voz
Vou comparando, e vêm-me a eternidade
E as mortas estações, e esta, presente
E viva, e o seu ruído. Em meio a essa
Imensidão meu pensamento imerge
E é doce o naufragar-me nesse mar.

Le Nostre Ombre


2007.02.02
Siamo stati al parco questo pomeriggio. In un dato momento, Marina si gira e dice: “Fa una foto alle nostre ombre.”

Mi Auguro Tempo


2007.02.01
Avevo promesso a Luna che sarei andato all’incontro con Mariano Loiacono, creatore del “Metodo alla Salute”, al CRAS di Ancona. Purtroppo non ce l’ho fatta.. Luna è per me una persona molto cara. Abbiamo fatto insieme il primo percorso di fototerapia ad Ancona che è stato molto importante per entrambi. D’allora siamo rimasti uniti da un legame di amicizia fraterna-paterna-filiale-materna-amorosa-fotografica-musicale sui generis. Incontrare Luna per me è come guardare la luna: è sempre una esperienza nuova, piena, sia quando è crescente che quando è calante. Per consolarmi per l’incontro mancato mi sono messo a leggere la pubblicazione dell’Associazione alla Salute di Foggia, LIMAX, che Luna mi aveva regalata l’ultima volta che ci siamo incontrati, nel primo seminario di Mariano e Barbara Loiacono ad Ancona. È stato un regalone che Luna mi ha fatto, presentarmi a Barbara e Mariano. Sono due persone che trasmettono la semplicità illuminata dei profeti e dei visionari contadini. Mi sono sentito un privilegiato. Grande Luna! Nell’editoriale di LIMAX di settembre 2006 Barbara Loiacono riporta una poesia indiana che dice così:
“Ti auguro tempo.
Non ti auguro un dono qualsiasi, ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo per divertirti e per ridere.
Ti auguro tempo non per affrettarti e correre, ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perché te ne resti: tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle, tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.”
Mi auguro tempo per incontrare miei amici ed abbracciarli con tutta la forza della verità.

RigenerArte


2007.01.30
Sono stato invitato a partecipare ad una mostra di arteterapia che si svolgerà all’interno di un convegno di psicologia del titolo RigenerArte. Parlando con l’organizzatrice dell’evento, Patrizia Vetuli (vice presidente dell’Ordine degli Psicologi delle Marche), ci siamo chiesti se è l’arte, in quanto fruizione estetica o come qualcosa legata al bello, che rigenera. Credo che l’enfasi deve essere messa nella comunicazione e nell’espressione come tale piuttosto che nel risultato formale che esse possano avere. Non sarà un caso che il Master dell’Università di Torino che si occupa di arteterapia, musicoterapia e drammaterapia abbia scelto la definizione di Terapie Espressive e che il Master dell’Università Ca’ Foscari di Venezia che tratta gli stessi argomenti abbia optato per definirsi come un percorso formativo di Comunicazione e Linguaggi Non Verbali: Musicoterapia, Psicomotricità e Performance. La parola Arte se pure seducente, è fuorviante in campo terapeutico e educativo. Per quanto riguardano i progetti di “fototerapia” che ho condotto è stato fondamentale superare l’idea di dover produrre delle belle fotografie e spostare l’attenzione dall’aspetto formale delle immagini agli aspetti ludici, relazionali e comunicativi dell’agire fotografico. Per veicolare questo messaggio potrò far leva sul talento ed sull’esperienza dello psicologo e carissimo amico Enrico Smerzini. Avremo l’occasione di riflettere sugli interventi di “fototerapia” con gli adolescenti e bambini, con persone con disaggio psichico che vivono in comunità, e quelle che sono seguite nei centri di salute mentale, con anziani istituzionalizzati e con coloro che vivono in famiglia, con studenti post universitari (in corso) e mi piacerebbe molto includere le persone in carcere e i cechi con cui intendo condividere dei percorsi fotografici e che penso possano contribuire a svelare inaspettate potenzialità della comunicazione fotografica.

lunedì, febbraio 05, 2007

Notizie dal Brasile


2007.01.29
Marcos Marques, mio cugino che non vedo da più di 35 anni, mi ha scritto una lettera incredibile che mescola notizie dal Brasile di Lula, riflessioni filosofiche, citazioni letterarie, sogni e etmologia. Parla dei suoi viaggi nel “Sertão” di Goiás (acaba não mundão). Mi ha fatto venire la voglia di rileggere Guimarães Rosa, “Grande Sertão: Veredas”, “Sagarana”.Ecco il racconto "Il Duello" in italiano. Quando ritornerò in Brasile, voglio tufarmi nel Sertão che non finisce no, mondo grande. Marcos, aquele abraço, cugino amico. Mi manda una foto.

Psicodramma, Moreno e la Prepotenza Adolescenziale


28.01.2007
La domenica pomeriggio degli incontri del Master produce nella mia testa un rumore come quando si mettono dei ghiacci nel frullatore. Tutti gli stimoli, le parole, le risate, i gesti si mettono ad urlare nel mio cervello esausto. Oggi, in mezzo a questa confusione interiore, ho riascoltato la domanda del Professor Ezio Donato: “Avevate mai sentito parlare di psicodramma e di Moreno prima di leggere la dispensa che vi ho dato?” Questa domanda mi ha portato lontano nel tempo e nello spazio. 1978, San Paolo del Brasile quando ho conosciuto Fernando Uzeda, che sarebbe poi diventato un mio carissimo amico e una delle persone chiavi, nel bene e nel male, per la mia formazione. È stato lui ad aspettarmi all’aeroporto di Heathrow nel mio primo viaggio-trasloco all’estero. Con lui ho conosciuto la Parigi che i turisti non vedono. Da lui ho ricevuto l’abbraccio solidale al mio rientro in Brasile dovuto a una tragica perdita familiare. Con lui sono andato ad abitare quando ho lasciato la casa dei miei genitori. Ed è stato a casa dei suoi genitori, Pedro e Vera, lui psichiatra e lei psicologa dove ho sentito parlare di psicodramma e di Moreno per la prima volta. Suo padre, Pedro Moreira Uzeda è stato uno dei principali divulgatore dello psicodramma in Brasile. Ricordo con molta ammirazione quella coppia. Dottor Pedro, una persona brillante, la Signora Vera, una donna elegante, di una bellezza e di una sensualità difficilmente paragonabile. Non so perché pensavo che Moreno fosse argentino e che lo psicodramma fosse un fenomeno di moda dei ricchi spensierati brasiliani, e così non mi sono mai interessato a sapere di più su questa disciplina. Il Brasile è oggi il paese con maggior numero di psicodrammatisti e dove lo psicodramma viene più ampiamente praticato. Dopo trent’anni, ho scoperto che Jacob Levy Moreno non era Argentino, ma che in fondo non aveva nessun’altra nazionalità definita. È nato su una nave senza bandiera, da padre ebreo spagnolo e madre slava, ha preso la cittadinanza rumena, è vissuto e studiato a Viena e trascorso gran parte della sua vita negli Stati Uniti. A questo punto potrebbe anche essere argentino. Ho scoperto anche che lo psicodramma non è una moda dei ricchi brasiliani. E mentre il traghetto mi portava dalla Giudecca a Venezia, mi facevano compagnia i ricordi degli Uzeda, dell’amico-artista Fernando, e mi faceva ridere la mia prepotente ignoranza adolescenziale che forse trascino con me fino ad oggi.

domenica, febbraio 04, 2007

Onde e Dune


2007.01.27
Ognuno di noi doveva portare un oggetto che suscitasse emozione e che avesse un significato personale. Ho portato un cappello che avevo confezionato in Brasile utilizzando una foglia di palma da cocco del albero che stava nel giardino di casa mia sulla spiaggia di Ponta Negra a Natal. Ne avevo fatto tre. Uno ho regalato all’Ambasciatore del Brasile a Roma, Paolo Tarso Flecha de Lima, come ringraziamento per aver ospitato la mostra “Natal a Roma”che avevo allestito all’Ambasciata Brasiliana in Italia nel 1999. L’altro cappello ho offerto al prete – imprenditore Don Lamberto Pigini che mi ha preso per lavorare come operaio nella sua industria grafica Tecnostampa nel 2000. L’ultimo cappello è quello che ho portato al seminario di psicodramma oggi. “Che cosa vorresti vedere?”, mi domandò Ezio Donato, come psicodrammatista. “Non senti la mancanza del Brasile, la SAUDADE?” Allora chiesi di vedere ciò che vedevo dal giardino di casa mia: la Duna Calva, (Morro do Careca) e il mare di Ponta Negra. Per ricreare il paesaggio invitai Antonella Moscardini, la collega del Master con chi più mi identifico, per rappresentare la Duna Calva e “l’Epifania Smeralda”, la “Morellino di Scansano” e la Gabellone; tre fra le più belle colleghe del master per simbolizzare le onde soavi della baia, e io in mezzo. “Che vuoi che facciano le onde, che ti accarezzino?” suggerì il siciliano direttore. E così mi ritrovai davanti la Duna , in mezzo alle onde-donne, alla Giudecca, di fronte a Venezia. Chiusi gli occhi e naufragai nel dolce mare di carezze. Ciò che vissi e sentii è più o meno questo.

venerdì, febbraio 02, 2007

Angelo Smarrito


2007.01.26
Arrivare a Venezia è per me un momento indefinito. Quando si arriva a Venezia? Quando si vede soltanto acqua dai finestrini del treno? Quando si scende le scale della Stazione Santa Lucia? Quando si attraversa il Ponte degli Scalzi? Quando si affaccia al Canale Grande? Quando si entra nella Piazza San Marco? Quando salgo sul treno che va a Venezia? Oggi per me, arrivare a Venezia è stato prendere il battello per la GIUDECCA! Non ricordavo il nome della pensione dove sarei ospite, ne l’indirizzo di dove avrebbe luogo il seminario di psicodramma. Sapevo soltanto che dovevo andare alla GIUDECCA. Mentre cercavo il battello che dovevo prendere un angelo smarrito mi ha toccato le spalle. Era Noodle, mio amico del Master. Ho soltanto goduto il paesaggio e scattato qualche foto per divertimento e mi sono lasciato trasportare dall’angelo smarrito Noodle, Lucca Scantamburlo. L’introduzione allo psicodramma fatta dal professor Ezio Donato è stata stimolante, la cena con Antonella ,Silvia e Carla dalla trattoria Il Cacciatore è stata superba e la preparazione dei “brigadeiros”, alle due di notte nella cucina del convento del Santissimo Redentore dove eravamo ospiti è stata surreale. Ecco la ricetta dei “brigadeiros”:

Ingredienti:
1 lattina di latte concentrato zuccherato = 400 g
2 cucchiai di burro
3 cucchiai di cioccolato amaro in polvere
mezza tazza da tè di cioccolato granulato.

Procedimento:
Versare in una casseruola ad un manico tutti gli ingredienti eccetto il cioccolato granulato.
Portare al fuoco, mescolando sempre l’impasto, finche l’impasto non si stacchi dal fondo quando si inclina la casseruola.
Versare l’impasto in un recipiente previamente imburrato e lasciare raffreddare.
Fare delle palline e girarle sul cioccolato granulato
Sistemarle in formine di carta e servire