lunedì, marzo 31, 2008

Puppa, Müller e Zerozan


2007.02.23
Era dal 25 novembre del 2006 che pensavo alla performance che dovrei proporre per il seminario di Paolo Puppa. Siamo arrivati al 23 febbraio e ancora non avevo deciso niente. Ero sul treno per andare a Venezia e ricordavo la prima lezione di Puppa. Paolo Puppa aveva portato dei testi suoi e di Heiner Müller, Hamletmachine, per farci leggere ad alta voce. C'era stata una sommossa tra gli studenti. Una collega era addirittura svenuta. I testi erano potenti e sconvolgenti. Si parlava di morte, stupri, cannibalismo, necrofilia e così via. La lezione, al contrario che a tutti i miei colleghi, mi è piaciuta tantissimo. Ci ha dato una scossa, ci ha scombussolati tutti noi nel nostro profondo. Adesso toccava a noi rispondere, ma io ero li sul treno per andare a presentare una performance ispirata sui testi proposti da Puppa e non avevo nessuna idea chiara. Quando il treno stava per arrivare in stazione e Venezia già si presentava un po' così timidamente, sono andato in bagno per fare la pipi. Mentre tiravo l'acqua, mi sono venuti in mente i primi scritti dei cronisti europei che arrivavano al nuovo continente. Gli autoctoni brasiliani, non sapendo come chiamare quelli esseri strani che approdavano nelle spiagge brasiliane, gli hanno datti tanti sopranomi. Uno di questi sopranomi era "colui che beve acqua sporca" e "colui che sporca l'acqua". Immagino che cosa diranno i nostri discendenti su di noi tra 500 anni. Diranno che noi utilizzavamo il bene più prezioso del pianeta, l'acqua, per portare via i nostri escrementi. Mentre ritenevamo immorale nominare gli escrementi e le parti del corpo da dove essi fuoriuscivano, consideravamo come segno di civiltà il nostro sistema sanitario.

Mentre facevo la pipi (non si dice pisciare, che è brutto) mi sono ricordato dell'unico indio che io ho incontrato in Brasile. Si chiamava Zerozan. Era un indio urbano. Una volta mi ha chiesto di fare una seduta di fotografia. Voleva essere fotografato come diceva lui. Ogni indumento e ogni posa aveva un significato. Ha voluto mostrare come cacciava, come dormiva, come danzava. Ho chiesto a lui il signifidato di ogni cosa. Poi ho chiesto a lui di togliersi l'orologio dal polso. Lui si è rifiutato. "Non, l'orologio fa parte di Zerozan". Certo, mi ero dimenticato che Zerozan era un indio urbano.

1 commento:

Anonimo ha detto...

INTERESSANTE PROSPETTIVA QUELLA DEL BUCO DEL CESSO...CONOSCI GIULIANA BRUNO? HA PUBBLICATO IL LIBRO ATLANTE DELLE EMOZIONI, POTREBBE INTERESSARTI