venerdì, dicembre 22, 2006
domenica, dicembre 03, 2006
domenica, novembre 05, 2006
Fototerapia in Italia
© 2006, Ayres Marques Pinto, Fotografo e Animatore – fototerapia@libero.it
La Fototerapia in Italia: una ri-scoperta
Ayres Marques Pinto, 2006
Non sapevo niente sull’esistenza della fototerapia quando mi è venuta in mente l’idea di condividere il piacere di scattare delle foto con persone che attraversavano un momento difficile della loro vita. Semplicemente ero consapevole dei cambiamenti che occorrevano dentro di me ogni volta che uscivo portando con me la mia macchina fotografica: prestavo più attenzione alle cose intorno a me, le emozioni diventavano più forti e si creava un nuovo tipo di contatto visivo con le altre persone.
Basandomi su questa percezione ho elaborato il progetto Foto-Inconscio che consisteva sostanzialmente nel coinvolgere attivamente gli ospiti di una comunità psichiatrica nei vari momenti del processo fotografico: dalla posa allo scatto (dentro e soprattutto fuori della comunità), dalla creazione dei loro album di famiglia alla scrittura dei racconti che ne scaturivano; dallo sviluppo dei rullini alla stampa delle foto in camera oscura; dalla scansione delle foto ai ritocchi delle immagini al computer; dalla scelta delle foto all’organizzazione di una mostra.
L’idea di questo progetto è nata a Natal, nel Rio Grande do Norte, in Brasile, quando nel 1995 realizzavo la video-antologia “Um Dia – A Poesia” (Un Giorno – La Poesia), per la Festa Nazionale della Poesia, il 14 Marzo. Il poeta visuale Dottor Franklin Capistrano è stato il primo ad accettare l’invito a partecipare al video, facendo la sua performance nel suo posto di lavoro: il manicomio della città.
Mentre lo psichiatra diceva i suoi poemi visivi lungo i corridoi dell’ospedale, ho notato che i pazienti ci osservavano con curiosità e che molti di loro volevano prendere parte alla performance. In quel periodo ho iniziato a immaginare come sarebbe stato interessante fare un percorso fotografico insieme alle persone con disturbi mentali.
L’opportunità di concretizzare quella idea si è presentata nel 2001, quando un’amica psicologa, Rita Messi, ha parlato del mio lavoro a Loredana Chielli, direttrice della comunità psichiatrica Il Filo di Arianna, gestita dalla cooperativa sociale ASS.COOP di Ancona.
Nella mia prima visita al Filo di Arianna, sono stato ricevuto da un signore molto elegante e attento che ha ascoltato con interesse la mia proposta di progetto. Alla fine della presentazione, il gentile signore mi ha condotto all’ufficio della direttrice. Soltanto allora ho capito di non aver parlato con lo psichiatra ma piuttosto con un ospite della comunità.
Nell’ufficio, oltre alla direttrice, si trovavano due persone: un giovane che masticava nervosamente le punte dei suoi capelli, e una signora fortemente truccata, dai capelli rosso Ferrari, che parlava con una voce da baritono mentre fumava accanitamente.
Notando il mio disagio nel parlare del progetto in presenza di quelle persone strane, Loredana me le presentò: erano due educatori.
Con meno entusiasmo ho presentato la proposta di realizzare un percorso fotografico, “Foto-Inconscio”, insieme agli ospiti e operatori della comunità. È stato approvato.
Per due anni abbiamo girato per Ancona scattando delle foto, sviluppando dei rullini e stampando le immagini che più tardi sarebbero state organizzate in una mostra che ha sorpreso tutti per la sua forza e originalità.
Questa esperienza ci ha permesso di capire quanto e in quale modo gli atti del fotografare possono avere una valenza terapeutica.
Qualsiasi attività è potenzialmente terapeutica: camminare, dormire, praticare sport, andare al cinema, suonare uno strumento, ridere, chiacchierare; perciò, anche scattare, guardare o mostrare delle foto può essere profondamente terapeutico, ma lo è in una maniera molto particolare che risulta dalla propria specificità della creazione dell’immagine fotografica.
Dato che l’immagine fotografica non è costruita manualmente, ma viene catturata direttamente dal mondo esteriore, il fotografo è obbligato a uscire da sé, a stabilire un contatto con la realtà e così facendo crea una connessione tra il suo mondo interiore con quello che lo circonda. Inoltre, questo tipo di rapporto “dentro-fuori” mediato da una macchina fotografica dà al fotografo un potere decisionale che poche altre attività possono offrire. Il fotografo è l’unico a decidere, in mezzo ad infinite possibilità, ciò che sarà immortalato.
Lungo questo percorso ho potuto osservare alcune persone, che di solito erano completamente assorbite dai loro pensieri, alzare gli occhi e cominciare a guardare il mondo, semplicemente perché portavano con sé una macchina fotografica. Ho visto delle persone con una bassa autostima mostrare al pubblico orgogliosamente le bellissime foto che loro stesse avevano scattato e stampato.
Una volta ho domandato a un ospite cinquantenne, F.D., che aveva trascorso gran parte della sua vita in svariate istituzioni psichiatriche, perché a lui piaceva così tanto prendere parte al progetto; e in quale maniera riteneva che la fotografia lo stesse aiutando. Lui mi ha spiegato di essere sempre stato ansioso, ma quando usciva per fotografare era in grado di passare tanto tempo a guardare attraverso il mirino e mentre aspettava il momento esatto di scattare una foto nel modo che lui voleva, la sua ansia spariva.
“Al contrario, mi sento come se fossi sospeso nel tempo, come se non ci fosse un passato o un futuro da preoccuparmi, ma mi sembra che ci sia soltanto il momento presente”.
F.D. si è rivelato un fotografo molto originale con un senso acuto di composizione di tipo geometrico, nelle sue foto la città sembrava un paesaggio sempre vuoto, senza abitanti.
Ho fatto una domanda simile all’ospite più giovane della comunità, L.C., un’adolescente che aveva abbandonato casa precocemente e che nonostante l’età aveva già un importante vissuto alle spalle prima di trovarsi in comunità. Lei ha spiegato di aver condotto la sua vita in una specie di simultaneità a 360 gradi: “Ho sempre voluto vedere tutto, sperimentare tutto contemporaneamente. Quando scatto però, nonostante mi senta libera di fotografare quello che voglio e come voglio, sono obbligata a scegliere una piccola fetta del mondo alla volta”. Questo limite imposto dalla sua macchina fotografica le ha fatto capire che lei poteva essere se stessa e esprimersi liberamente anche quando era chiamata a fare i conti con le restrizioni imposte da un mezzo espressivo o, per estensione, dalle regole della società. Per l’allestimento della mostra L.C. ha preferito mostrare un gran numero di piccole fotografie messe insieme che formavano dei grandi pannelli, mentre gli altri hanno preferito fare delle stampe più grandi di una piccola selezione di foto.
Queste due persone hanno lasciato la comunità subito dopo la mostra. L.C. si è iscritta all’università, al DAMS di Bologna. F.D. è andato a vivere per conto suo e vive una vita normalissima, fa dei corsi di lingue straniere e viaggia in Europa, addirittura in aereo.
Non ritengo certamente che sia stata la fotografia la responsabile del lieto fine di questi due casi, ma credo soltanto che abbia avuto un ruolo, forse importante, nel processo della loro cura.
Fra i tanti fattori che hanno contribuito all’esito di questo primo intervento vorrei menzionarne tre:
1. il fatto di aver rifiutato il ruolo di istruttore di fotografia. Non mi sono mai preoccupato di insegnar loro a fotografare; al contrario, sono stato io ad aver imparato tanto da loro. Le nozioni tecniche della fotografia venivano prese in considerazione soltanto quando loro ne avvertivano il bisogno. Ho sempre ritenuto più importante valorizzare l’originalità e l’unicità del loro sguardo piuttosto che insegnare loro a creare delle belle immagini per piacere agli altri.
2. la familiarità che abbiamo con la fotografia. La fotografia è di casa per tutti noi. Siamo stati fotografati dalla nascita, da sempre vediamo delle foto appese sui muri e la maggior parte di noi ha almeno un paio di volte scattato qualche foto. Per questa ragione la fotografia è più rassicurante e richiede paradossalmente una minore esposizione da parte nostra rispetto ad altre forme di espressione molto più antiche e può rappresentare un ponte verso la pittura (attraverso il collage per esempio), il racconto, il teatro, la danza e la musica. La fotografia è diventata parte della nostra forma mentis; secondo Marshall McLuhan, l’uomo del novecento vede fotograficamente.
3. la fotografia fa gruppo!
Al termine di questa prima esperienza ho avvertito la necessità di formarmi e di informarmi sulle modalità di utilizzo della fotografia come strumento riabilitativo e terapeutico. Ho iniziato a chiedere agli psicologi e agli psichiatri con cui lavoravo se potevano suggerire una bibliografia su questo tema, senza ottenere alcun risultato. Ho cercato delle informazioni presso gli amici fotografi e anche un professore di psicologia. Ma la ricerca non mi aveva portato a nessun titolo. Mi sono rivolto a internet e ho scoperto che la fototerapia era molto utilizzata in campo dermatologico per trattare alcune patologie della pelle per mezzo dell’applicazione della luce. A questo punto ho cominciato a credere che forse avevo casualmente scoperto qualcosa di nuovo, qualcosa che ho chiamato “fototerapia attiva”.
Finché un giorno L.C. mi ha invitato a partecipare alla lezione di apertura dell’anno accademico di Fotografia al DAMS di Bologna, tenuta dal professor Claudio Marra. Prima di partire per Bologna, sono passato in una libreria per cercare un libro del professor Marra. Ho visto un titolo molto interessante: “Le idee della fotografia”, pubblicato dalla Mondadori. Questo libro raccoglie un centinaio di testi sulla fotografia scritti da filosofi, storici, esperti della comunicazione e della semiotica, artisti, poeti, scrittori, sociologi e anche psicologi e psichiatri. Barthes, Eco, Calvino, Valery, Sontag, Wenders, McLuhan, Dubois e Bazin sono alcuni nomi famosi che compaiono in questa validissima antologia.
Fra questi testi si trovava anche un brano del libro “Fototerapia e Diario Clinico” di Giusti e Proietti, pubblicato da Franco Angeli. Questo libro, che non è più in commercio, è una guida all’utilizzo della fotografia e della scrittura in forma di diario in ambito psicoterapeutico. Gli autori dichiarano di aver seguito le strade aperte da due studiose della fototerapia: Linda Berman e Judy Weiser.
Il libro di Linda Berman “Beyond the Smile: The therapeutic Use of Photography” è stato pubblicato in Italia dalla Erickson Edizioni nel 1993 col titolo “La Fototerapia in Psicologia Clinica”. In questo libro l’autrice ripercorre il suo itinerario di scoperta e di utilizzo della fotografia nella sua pratica di psicoterapeuta. La Berman racconta la sua esperienza e espone le sue riflessioni che vengono sostenute da numerosi casi clinici.
Judy Weiser, psicologa americana, ha scritto il libro “PhotoTherapy Technics – Exploring the Secrets of Personal Snapshots and Family Albums” e gestisce il sito sulla fototerapia www.phototherapy-centre.com .
Ho trovato particolarmente interessante la distinzione proposta da Judy Weiser fra fototerapia e fotografia terapeutica. Secondo l’autrice, il termine fototerapia dovrebbe riferirsi soltanto all’utilizzo della fotografia come strumento coadiuvante del processo psicoterapeutico, ossia, la fotografia in terapia all’interno di un formale setting terapeutico nel quale una figura professionale della salute mentale aiuta un paziente a risolvere le sue difficoltà emozionali. In altre parole, fototerapia significa fotografia in terapia. Fotografia terapeutica a sua volta sarebbe l’uso della fotografia come terapia fatto da professionali, non necessariamente terapeuti, al di fuori del setting terapeutico. In questo caso, terapeutico ha lo stesso significato che i greci attribuivano alla parola “terapeia”, cioè, cura, attenzione, trattamento. Questa nomenclatura non è universalmente riconosciuta. Joe Spence e Rosy Martin, due importanti pioniere in questo campo, hanno una opinione diversa rispetto alla definizione della fototerapia. Per Joe Spence fototerapia significa “letteralmente, utilizzare la fotografia per curare noi stessi” e osserva che “la fototerapia dovrebbe essere vista in un contesto più ampio della psicanalisi, prendendo sempre in considerazione la possibilità della TRASFORMAZIONE ATTIVA”.
In questa prospettiva, il progetto Foto-Inconscio, realizzato presso la comunità psichiatrica Il Filo di Arianna sarebbe considerato un intervento di fototerapia secondo la definizione di Joe Spence e di fotografia terapeutica secondo Judy Weiser, considerandosi che le attività non avevano luogo all’interno di un formale setting terapeutico e non servivano come punto di partenza per la verbalizzazione di sentimenti, emozioni o ricordi. Il nostro unico obiettivo era il piacere di trovarsi insieme per fotografare. La nostra attenzione era rivolta alle cose e alle persone che ci circondavano, dimenticando per un momento le nostre preoccupazioni e i pensieri quotidiani, e era precisamente questo atteggiamento che trasformava i nostri incontri in qualcosa di terapeutico senza che fosse tuttavia terapia nel senso formale della parola.
La ricerca bibliografica è andata avanti grazie all’impegno del bibliotecario della Biblioteca Comunale di Loreto, Alessandro Finucci, che cercato titoli riguardanti la fototerapia presso le biblioteche di mezzo mondo. E così è arrivata alle mie mani una raccolta di saggi che, secondo me, rappresenta ancora oggi una guida teorica per chi desidera utilizzare la fotografia sia in terapia che come terapia. Si tratta del libro “Phototherapy in Mental Health”, organizzato da David A. Krauss e Jerry L. Fryrear, pubblicato dalla Charles C Thomas Publisher. Questa opera intende “offrire una visione generale nel campo della fototerapia, introdurre il lettore alla storia della fotografia e del suo utilizzo terapeutico, mostrare come la fotografia viene usata in terapia e quali concetti di psicoterapia sono maggiormente applicabili”. Questo libro mi è stato molto utile per la progettazione dell’intervento “La Mente nel Mirino – A Spasso per la Città” realizzato presso il Centro di Salute Mentale di Osimo, dal 2004 al 2006.
Questa iniziativa è stata caratterizzata dal lavoro di équipe, che era formata da due psichiatri, uno psicologo, tre infermieri e da me nel ruolo di animatore socio-culturale con esperienza in fotografia terapeutica.
La figura professionale dell’animatore socio-culturale è ancora poco conosciuta e poco utilizzata. Questa nuova figura, il cui scopo è il benessere dei soggetti, individuali e aggregati, si serve di specifici strumenti ludici, espressivi e di attivazione culturale. Guido Contessa, pioniere dell’animazione italiana professionale, dimostra come l’animazione possa far parte di un processo educativo, di un processo artistico o di un programma terapeutico pur mantenendo la sua specificità.
La ridefinizione del mio ruolo nel lavoro di gruppo, il coordinamento del responsabile dell’équipe, dottor Vinicio Burattini e gli incontri regolari di programmazione e valutazione ci hanno permesso di condurre un intervento multidisciplinare in maniera consapevole e organizzata. Il gruppo di utenti era formato da pazienti tra i 25 e i 40 anni, con disturbi gravi, che abitavano con la loro famiglia e frequentavano il CSM di Osimo per le visite e il trattamento ambulatoriale. Le principali attività del progetto consistevano nell’organizzazione di spedizioni fotografiche nei paesi della Provincia di Ancona e di Macerata e nell’elaborazione del materiale fotografico raccolto.
Il progetto si è concluso a Loreto con la mostra-seminario “150 Anni di Fototerapia”. Professionisti di diverse aree hanno presentato e discusso le iniziative connesse alla fototerapia realizzate nella Regione Marche. L’evento ha ricevuto il sostegno degli Assessori ai Servizi Sociali e alla Cultura del Comune di Loreto, il Signor Francesco Baldoni e la Signora Maria Teresa Schiavoni e ha contato sull’esperienza organizzativa della psicologa del CSM – Ancona Nord, Dottoressa Assunta Lombardi che ha coordinato il dibattito.
Il Professor Franco De Felice, docente di Psicologia all’Università di Urbino e presidente della cooperativa sociale ASS.COOP, ha fatto alcune considerazioni sul progetto Foto-Inconscio, realizzato presso la comunità Il Filo di Arianna e ha parlato delle tesi di laurea sulla fototerapia di cui è stato relatore presso l’Università di Urbino.
Il Dottor Vinicio Burattini ha analizzato alcuni aspetti del programma riabilitativo “La Mente nel Mirino – A Spasso per la Città” del Centro di Salute Mentale di Osimo.
In questa occasione ho presentato il libro che avevo pubblicato l’anno prima: “Il Volto e la Voce del Tempo” (Associazione BrasiLeMarche). Il libro raccoglie varie esperienze in cui la fotografia è stata utilizzata allo scopo di costruire ponti generazionali per avvicinare persone di differenti età. In una delle iniziative raccontate, gli studenti della scuola media ricevevano delle foto di anziani residenti in case di riposo e erano stimolati a scrivere la biografia immaginaria delle persone di cui conoscevano soltanto il volto. In un secondo momento, “biografi e biografati” si incontravano di persona per la prima volta, ma si sentivano già come se fossero vecchi amici.
La mostra-seminario “150 Anni di Fototerapia” ha rappresentato un importante incentivo alla formazione del Gruppo di Ricerca sulla Fototerapia (GRIFO).
Alla conclusione del seminario, una giovane psicologa si è avvicinata per commentare la sua sorpresa nello scoprire che la fototerapia esisteva da tanto tempo e non riusciva a nascondere il proprio disappunto nel constatare che la fototerapia non era una sua invenzione. La capivo molto bene, visto che anch’io avevo provato questo sentimento alcuni anni prima. Credo che ancora oggi molte persone non sappiano che il 22 maggio 1856, il Dottor Hugh Welch Diamond, fotografo amatore e psichiatra nel manicomio di Surrey, presentava alla Royal Society of Medicine, a Londra, la sua relazione sulle possibilità di applicazione della fotografia nel trattamento di pazienti psichiatrici. Hugh Diamond ha avuto l’idea di valersi del nuovo strumento tecnologico, la fotografia, per documentare con maggior precisione i casi di patologie mentali. Lo psichiatra inglese ha notato che alcuni pazienti rispondevano all’osservazione delle loro fotografie in maniera sorprendente: diventavano più consapevoli della loro identità fisica e prestavano più attenzione alla loro apparenza, poiché la loro autostima era rafforzata ogni volta che vedevano una loro foto in cui “stavano bene”. Le fotografie fatte da Hugh Diamond, la sua relazione e i disegni ispirati alle sue foto sono stati pubblicati nel libro “The Face of Madness”, organizzato da Sander L. Gilman, 1997, pubblicato dalla Citadel Press.
Spero comunque che molte altre persone, in tutto il pianeta, continuino a ri-scoprire la fototerapia per molti e molti anni. È con questo spirito che propongo il brindisi:
Fototerapeuti di tutto il mondo, unitevi!
Loreto, 22 maggio 2006
Ayres Marques Pinto – Fotografo e Animatore
fototerapia@libero.it
RE-INVENTANDO A FOTOTERAPIA NA ITALIA
© 2006, Ayres Marques Pinto, Fotógrafo e Animador sócio-cultural – fototerapia@libero.it
Re-inventando a Fototerapia na Itália
Ayres Marques Pinto, 2006
Não sabia da existência da Fototerapia quando decidi compartilhar o prazer de fotografar com pessoas que estavam atravessando um momento difícil da vida. Simplesmente era consciente da transformação que ocorreva dentro de mim sempre que saía carregando minha máquina fotográfica: prestava mais atenção às coisas ao meu redor, as emoções ficavam mais intensas e criava-se um tipo diferente de contato visual com as outras pessoas.
Inspirado a esta percepção elaborei o projeto Foto-Inconsciente que consistia basicamente em envolver ativamente os hóspedes de uma comunidade psiquiátrica nos vários momentos do processo fotográfico: posar para uma foto e fotografar (dentro e sobretudo fora da comunidade), construir o álbum de família e contar as histórias que as fotos mostravam, revelar os negativos e copiar as fotos no laboratório, escansionar e retocar as imagens ao computador, selecionar as fotos e organizar uma mostra.
A idéia deste projeto teve origem em Natal, no Rio Grande do Norte, quando em 1995, realizava a video-antologia “Um Dia – A Poesia”, em comemoração ao 14 de março, dia nacional da poesia. O poeta visual, Doutor Franklin Capistrano, foi o primeiro a aceitar o convite a participar do video, que foi rodado no seu local de trabalho: o manicômio da cidade.
Enquanto o psiquiatra recitava seus poemas visuais pelos corredores do hospital, reparei que os pacientes nos observavam com curiosidade e que muitos deles queriam participar à performance. Foi naquele período que comecei a imaginar como seria interessante realizar um percurso fotográfico juntamente a pessoas com distúbios mentais.
A oportunidade para concretizar aquela idéia se apresentou em 2001, na Itália, quando uma amiga psicóloga, Rita Messi, falou sobre o meu trabalho à Loredana Chielli, diretora da casa comunitária psiquiátrica “Il Filo di Arianna”, O Fio de Ariana que é admnistrada pela cooperativa social ASS.COOP de Ancona.
Na minha primeira visita ao Fio de Ariana, fui recebido por um senhor muito elegante e atencioso que escutou com interesse a proposta do projeto. Ao términe da apresentação o senhor conduziu-me gentilmente à sala da diretora. Somente então comprendi que não havia conversado com o psiquiatra mas com um hóspede da comunidade.
No escritório, além da diretora, encotravam-se duas pessoas: um jovem que mastigava nervosamente as pontas dos seus longos cabelos, e uma senhora muito maquiada, com cabelos tingidos de um vermelho Ferrari e que tinha uma voz grave e fumava avidamente.
Percebendo o meu constrangimento em falar do projeto na presença de terceiros, Loredana apresentou-me àquelas pessoas estranhas: tratavam-se de dois educadores.
Expus novamente, com um pouco menos de entusiasmo, a proposta de realizar um percurso fotográfico, chamado Foto-Inconsciente, com os hóspedes e os operadores da comunidade. Foi aprovado.
Por dois anos percorremos toda a cidade de Ancona fotografando e revelando os negativos, imprimindo as imagens que mais tarde foram expostas em uma mostra que surprendeu a todos pela sua força e originalidade.
Esta experiência permitiu que comprendêssemos o quanto e em que modo os atos fotográficos podiam ter um valor terapêutico.
É verdade que qualquer atividade é potencialmente terapêutica. Caminhar, dormir, praticar esporte, ir ao cinema, tocar um instrumento, rir, bater um papo e, portanto, fotografar, olhar e mostrar fotografias pode ser profundamente terapêutico; mas o é em uma maneira muito particolar, devido ao processo de criação da imagem fotográfica.
Dado que a imagem fotográfica não é construída manualmente, mas sim capturada diretamente do mundo esterior, o fotografo é obrigado a “sair” de dentro de si mesmo e estabelecer um contato com a realidade e criar uma ligação entre o seu mundo interior com aquele que o circunda. Este tipo de relação “dentro-fora”, intermediada por uma máquina fotográfica, dá ao fotógrafo um poder decisional dificilmente comparável a qualquer outra atividade. O fotógrafo é o único a decidir, entre tantas possibilidades, aquilo que será “imortalizado”.
No decorrer deste percurso fotográfico, pude observar algumas pessoas, que eram completamente absorvidas por suas preocupações, levantarem os olhos e começarem a olhar o mundo simplesmente porque carregavam uma máquina fotográfica. Encontrei pessoas, com baixa auto estima, mostrarem orgulhosamente ao público as fotos que tinham tirado e imprimido autonomamente.
Uma vez perguntei a um hóspede de 50 anos, senhor F. D., que tinha vivido grande parte da sua existência em instituições psiquiátricas, o porquê dele gostar tanto de fotografar e em que modo ele pensava que a fotografia o estivesse ajudando. Ele contou que toda a sua vida foi atormentada pela ânsia, mas quando saía para fotografar, era capaz de passar muito tempo olhando através do visor e que, enquanto esperava o momento exato para capturar a imagem que desejava, a sua ânsia desaparecia. “Sinto-me suspenso no tempo, como se não houvesse um passado ou um futuro com o qual preocupar-me, mas somente o presente”.
O senhor F.D. revelou-se um fotógrafo muito original, com um senso de composição do tipo geométrico. Nas suas fotos Ancona parecia uma cidade sempre vazia, sem habitantes.
Fiz a mesma pergunta a uma outra hóspede da comunidade, L.C., uma adolescente que tinha saído de casa precocemente e que, apesar da sua jovem idade, havia acumulado muita experiência de vida, nem sempre positiva. L.C. explicou-me que vivia em uma espécie de simultaniedade, “a 360 graus”. “Sempre quiz ver tudo, experimentar tudo e ao mesmo tempo”. “Quando fotografo, porém, apesar de sentir-me livre para fotografar tudo aquilo que quero e como quero; sou obrigada a escolher uma pequena porção do mundo por vez”. Esta limitação imposta pela máquina fotográfica demonstrou-lhe que ela podia ser ela mesma e exprimir-se livremente mesmo quando era obrigada a dialogar com restrições impostas por um instrumento, e por extenção, por regras da sociedade. Enquanto os outros hóspedes escolheram mostrar uma seleção de poucas fotos estampadas em tamanho grande, L.C. prefiriu expor um grande número de fotos de tamanho pequeno que juntas formavam grandes painéis.
F.D. e L.C. deixaram a comunidade logo após a mostra. L.C. comcluiu o segundo grau e matriculou-se ao DAMS da Universidade de Bolonha. Seu primeiro exame foi Fotografia. F.D. foi morar sozinho no apartamento deixado pela sua mãe e conduz uma vida normal, dedicando-se ao estudo e a viagens pela Europa.
Não afirmo certamente que a fotografia tenha sido a única responsável pelo desfecho positivo destes dois casos, mas acredito que este percurso fotográfico tenha desempenhado um papel importante no processo de cura de F.D. e L.C. .
Entre outros fatores que contribuíram para o bom êsito deste primeiro intervento, mencionaria três que considero especialmente importantes:
o fato de ter sempre rejeitado o papel de instrutor de fotografia. Em nenhum momento me preocupei em ensinar ninguém a fotografar. As noções técnicas de fotografia eram levadas em consideração somente quando alguém do grupo sentia a necessidade. Mesmo assim, fazia questão de sublinhar a importância primordial da originalidade e da individualidade do olhar de cada um.
a fotografia passou a fazer parte do DNA do homem contemporâneo. Fomos fotografados desde que nascemos e vivemos circundados por fotos, nas bancas de jornais, nos muros da cidade e nos meios de transporte. A maioria de nós, pelo menos uma vez na vida, tirou uma foto. Marshall McLuhan, afirma que a fotografia passou a fazer parte da nossa forma mentis; segundo ele, o homem do século XX vê fotograficamente. Por esta razão a fotografia é um instumento que nos é familiar e portanto acessível a todos. Paradoxalmente a fotografia exige de nós um esforço de exposição menor do que outros meios de expressão mais antigos e pode representar uma ponte que conduz à pintura (através da colagem, por exemplo), à literatura, ao teatro, à dança e à musica.
a fotografia é um excelente instrumento de aglutinação. A fotografia faz grupo.
Ao final desta primeira experiência, senti a necessidade de informar-me a respeito das possibilidades de aplicação da fotografia como instrumento reabilitativo e terapêutico. Iniciei a pesquisa perguntando aos membros da equipe com a qual trabalhava na comunidade se poderiam sugerir-me alguma referência bibliografica sobre este tema, mas não obtive nenhum resultado positivo. Consultei alguns amigos fotógrafos, um professor universitário de psicologia e um bibliotecário sem conseguir nem mesmo um título. Navegando em Internet descobri que por fototerapia se entende principalmente diversos tipos de terapias em âmbito dermatológico e psicológico que utilizam a luz (photo em grego) para o tratamento de algumas patologias. A esta altura comecei a pensar que tivesse descoberto alguma coisa de novo, alguma coisa que eu chamei de Fototerapia Ativa.
Até que um dia L.C. convidou-me para assistir à aula de inauguração anual do curso de Fotografia do DAMS da Universidade de Bolonha, com o professor Claudio Marra. Antes de partir para Bolonha passei em uma livraria e comprei um livro do Professor Marra: Le Idee della Fotografia, publicado pela Mondadori. Este livro recolhe uma centena de textos escritos por filósofos, historiadores, estudiosos de comunicação e semiótica, artistas, poetas, escritores, sociólogos e também psicólogos e psiquiatras. Participam a esta antologia alguns nomes famosos como: Roland Barthes, Umberto Eco, Italo Calvino, Paul Valéry, Susan Sontag, Wim Wenders, Marshall McLuhan, Philippe Dubois e André Bazin.
Entre os vários textos havia um fragmento do livro “Fototerapia e Diário Clínico” de Giusti e Proietti, da editora Franco Angeli. Este livro, que não está mais em comércio, é um guia introdutório ao uso da fotografia e da escritura de diário em um contexto psicoterapêutico.
Os autores do livro declaram de terem percorrido um caminho aberto anteriormente por duas estudiosas: Linda Berman e Judy Weiser.
Linda Berman, psiquiatra inglesa, é autora do livro “Beyond the Smile: The Therapeutic Use of Photography” que foi publicado na Itália pela Erickson Edizioni, em 1993, com o título “La Fototerapia in Psicologia Clínica”. Neste livro a autora repercorre o seu itinerário de descoberta da potencialidade do uso da fotografia na sua prática de psicoterapeuta. A autora relata suas experiências e conduz suas reflecções baseada em numerosos casos clínicos.
Judy Weiser, psicóloga americana, é autora do livro “PhotoTherapy Tecnics – Exploring the Secrets of Personal Snapshots and Family Albums” e coordenadora de um site sobre a fototerapia: www.phototherapy-centre.com .
Considero paricularmente instigante a divisão, proposta no site mencionado, entre a prática da fototerapia de um lado e da fotografia terapêutica do outro. Segundo a autora, fototerapia significa a utilização da fotografia como instrumento de apoio ao processo psicoterapêutico, ou seja, a utilização da fotografia em terapia. Neste caso, terapia significa exclusivamente o processo formal em que um operador da área da saúde mental, dentro dos limites formais do setting psicoterapêutico, ajuda um pasciente a enfrentar as suas dificuldades emocionais. A fotografia terpêutica, por sua vez, compreenderia todas as outras práticas que utilizam a fotografia fora do setting terapêutico com a finalidade de ajudar as pessoas por parte de outros profissionais que não sejam necessariamente terapeutas. Neste caso, terapêutico tem o mesmo significado que os gregos atribuíam à palavra “terapeia”, ou seja, tratamento, cura, cuidado.
Esta nomenclatura não é universalmente aceita. Joe Spence e Rosy Martin, duas importantes pioneiras neste campo, têm opinião diferente a respeito da definição de fototerapia. Para Joe Spence fototerapia significa “literalmente, utilizar a fotografia para a cura de nós mesmos” e observa que a “fototerapia deveria ser vista em um contesto mais amplo da psicoanálise, mas sempre levando em consideração a possibilidade da TRANSFORMAÇÃO ATIVA”.
Nesta perspectiva, o projeto Foto-Inconsciente, realizado na comunidade Fio de Ariana, seria classificado como um intervento de fototerapia segundo a definição de Joe Spence, ou, de acorodo com Judy Weiser, de fotografia terapêutica , visto que as atividades não aconteciam em um contexto terapêutico formal. Não utilizávamos a fotografia como pretexto para estimular a verbalização de sentimentos e lembranças. O nosso objetivo principal era simplesmente que nos abandonássemos ao prazer de fotografar em grupo, esquescendo por um momento as preocupações quotidianas. Acredito que era exatamente esta postura que transformava os nossos encontros em alguma coisa de terapêutico sem que fosse terapia no sentido formal da palavra.
A pesquisa bibliográfica continuou graças ao empenho do bibliotecário da Biblioteca Municipal de Loreto, Alessandro Finucci, que procurava livros sobre a fototerapia nas bibliotecas do mundo inteiro. Foi assim que chegou às minhas mãos um trabalho que, na minha opinião, representa ainda hoje um guia teórico completo para quem deseja utilizar a fotografia seja em terapia que como terapia. Trata-se do livro “Phototherapy in Mental Health”, organizado por David A. Krauss e Jerry L. Fryrear, publicado pela Charles C Thomas Publisher. O livro se propõe a “oferecer uma visão geral no campo da fototerapia, introduzir o leitor à história da fotografia e da sua utilização terapêutica, mostrar como a fotografia é usada em terapia e quais são os pricipais conceitos de psicoterapia aplicáveis à fototerapia”.
Esta obra foi-me útil para a elaboração do projeto “La Mente nel Mirino”, (A Mente no Visor), realizado no Centro de Saúde Mental de Osimo, a partir de 2004.
Este segundo intervento foi caracterizado pelo trabalho de equipe, que era fomada por dois psiquiatras, um psicólogo, três enfermeiros e eu como animador sócio-cultural com experiência em fotografia terapêutica.
A figura profissional do animador sócio-cultural é pouco conhecida e pouco utilizada. Esta nova figura, que opera no social a favor do bem estar de indivíduos e de grupos, serve-se de específicos instrumentos lúdicos, espressivos e de ativação cultural. Guido Contessa, pioneiro da animação profissional na Itália, demonstra em seus trabalhos, como a animação possa partecipar ao processo educativo, ao processo artístico ou a uma programação terapêutica mantendo a sua específica modalidade de atuação. A redefinição do meu papel no trabalho de grupo, a coordenação do psiquiatra responsável pela equipe, Doutor Vinicio Burattini, e os encontros regulares de programação e avaliação permitiram-nos conduzir um intervento multidisciplinar mais conscientemente organizado. O grupo era formado por pacientes entre 25 e 40 anos, com distúrbios graves, que residiam com a família e frequentavam o CSM – Osimo para tratamento ambulatorial. A principal atividade do projeto consistia na organizzação expedições fotográficas que aconteciam nas cidades das Províncias de Ancona e Macerata e na elaboração do material recolhido.
Esta experiência concluiu-se em Loreto, com a mostra-seminário “150 Anos de Fototerapia” que reuniu profissionais de diversas áreas que apresentaram e discuriram várias iniciativas de fototerapia na Região Le Marche. O evento recebeu o apoio do Assessores de Seviços Sociais e da Cultura da prefeitura de Loreto, senhor Francisco Baldoni e senhora Maria Teresa Schiavoni. Contamos com a experiência de organização da psicóloga do Centro de Saúde Mental de Ancona Norte, doutora Assunta Lombardi que também coordenou os debates.
O Professor Franco De Felice, docente de Psicologia na Universidade de Urbino e presidente da cooperativa social ASS.COOP, fez algumas considerações sobre o projeto Foto-Inconsciente, realizado na comunidade O Fio de Ariana, e sobre as teses de fototerapia que seus estudantes defenderam sob a sua orientação.
O Doutor Vinicio Burattini analisou vários aspectos do programa reabilitativo “A Mente no Visor – Um Passeio pela Cidade” do Centro de Saúde Mental de Osimo.
Nesta ocasião, apresentei o livro “Il Volto e la Voce del Tempo” (O Rosto e a Voz do Tempo), publicado pela Associazione BrasiLeMarche, 2005. Este livro relata várias experiências nas quais a fotografia foi utilizada com o objetivo de construir pontes geracionais para aproximar pessoas de idades diferentes. Em uma das iniciativas, alunos da escola do primeiro grau recebiam fotos de idosos residentes em asilos e eram estimulados a escrever a biografia imaginária daquela pessoa de quem conheciam apenas a fisionomia. Em um segundo momento, biógrafos e biografados se encontram pessoalmente pela primeira vez, mas se sentem como velhos amigos.
A mostra-seminário “150 Anos de Fototerapia” representou um impulso importante para a formação do Gruppo di Ricerca sulla Fototerapia (GRIFO).
Após o seminário, uma jovem psicóloga procurou-me para comentar a sua surpresa ao descobrir que a fototerapia existia há tanto tempo e mal conseguia disfarçar o seu constrangimento em constatar que não se tratava de uma sua invenção. Entendia muito bem o seu sentimento, pois eu também o havia experimentado alguns anos antes. Acredito que, ainda hoje, muitos não saibam que no dia 22 de maio de 1856, o doutor Hugh Welch Diamond, fotógrafo amador e psiquiatra do manicômio de Surrey, fazia à Royal Society of Medicine de Londres uma palestra sobre as possibilidades de aplicação da fotografia no tratamento de pacientes psiquiátricos, sendo portanto o primeiro “inventor” da fototerapia. Hugh Diamond teve a idéia de utilizar o novo instrumento tecnológico, a fotografia, para documentar com maior precisão os casos de patologias mentais. O psiquiatra inglês percebeu que alguns pascientes reagiam de maneira nova ao observarem as fotografias de si mesmos: tornavam-se mais conscientes da sua identidade corporal e passavam a prestar maior atenção ao aspecto físico. A auto estima era reforçada cada vez que olhavam uma foto na qual apareciam mais “bonitos”. Suas fotografias, seu discurso e os desenhos feitos a partir de suas fotos foram publicados no livro “The Face of Madness”, organizado por Sander L. Gilman, 1977, The Citadel Press.
Espero porém que muitas outras pessoas, nos quatro cantos do planeta, continuem re-inventando a fototerapia por muitos e muitos anos. É com este espírito que lanço este apelo:
Fototerapeutas do mundo, uni-vos!
Loreto, 22 de maio de 2006
Ayres Marques Pinto – Fotógrafo e Animador
fototerapia@libero.it
giovedì, ottobre 12, 2006
JPG Community
Dauro me convidou para participar da revista JPG Magazine.
Mandei esta foto para o tema Intimidades.
O que voce acha?
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JPG Magazine fotos Ayres
ali, no canto esquerdo
ou visite o site abaixo
http://www.jpgmag.com/photos/7583
sabato, settembre 30, 2006
Guarda "Outro Dia - A Poesia: Carro de Som Poetico. Natal, RN, 1997" su Google Video
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Poesia em liquidaçao. Aproveite!
Outro Dia - A Poesia: Carro de Som Poetico. Natal, RN, 1997
2 min 44 sec - 30-set-2006
Descrizione: A "sound car" announces the events for the celebration of the brazilian poetry day in Natal, RN in 1997.
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giovedì, settembre 28, 2006
Guarda "Cria. Guaraci Gabriel - Ayres Marques - Civone Medeiros" su Google Video
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Cria. Guaraci Gabriel - Ayres Marques - Civone Medeiros
6 min 29 sec - 28-set-2006
Descrizione: A video by Ayres Marques that shows the performer Guaraci Gabriel in a surrealistic landscape in Macau, RN, Brazil with the voice of Cinone Medeiros. 1998
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venerdì, settembre 08, 2006
sabato, agosto 26, 2006
domenica, luglio 30, 2006
Back to England
Loreto, 30th July 2006
After 25 years, I'll be coming to England.
This time I won't be arriving by myself. Gigliola and Marina will be with me.
I'll be also taking in my heart many other people that I met there a quarter of a century ago. People that took part in any way in my first travel abroad will also be by my side; specially those who "moved" "abroad" for ever.
We shall be arriving to Cambridge on 1st August and staying there for two nights.
Stratford-upon-Avon will be our next stop, for two days. Then we'll go to Oxford, for four days and London, for two days. We'll then stay in Salisbury to visit Stonehenge for two days; and back to London to spend the week end with friends. Our two last days in England will be in Cambridge from where we'll be departing to come back to Italy.
I intend to update the blog so that my friends can follow the first real vacation travel I take with my wife and my daughter.
Ayres